venerdì 29 aprile 2011

Importante precisazione sull'operato del governo e del presidente del consiglio




Precisazioni da Palazzo Chigi


28 Aprile 2011

In merito a quanto riportano erroneamente alcune agenzie di stampa, il Presidente Silvio Berlusconi si è ben guardato dall’esprimere un pronostico sullo scudetto al Milan anche per evidenti ragioni scaramantiche.

Crisi economica, politica, sociale, internazionale.....ma fra tutte le corbellerie dette da Berlusconi (ad esempio, le varie dichiarazioni sull'intervento in Libia che ogni giorno cambiano, oppure sulla riduzione delle tasse che aumentano e simili), questa era l'unica degna di un comunicato in cui si nega che sia mai stata detta.

ma si sa, il calcio per l'italiano è l'unica cosa che veramente conta...e iniziamo a fare schifo pure lì.



Perchè il gratuito spesse volte è peggio



E i possessori della PS3 lo sanno bene. Sono giorni oramai (dal 20 aprile9 che il Playstation Network è stato hackerato:

È dal 20 aprile scorso che il PlayStation Network di Sony è offline a causa di un'intrusione informatica. Tutti i servizi della console di gioco che dipendono dalla connessione al PSN sono inutilizzabili. Niente gioco collaborativo, niente scaricamento di musica, film e telefilm legali, niente sblocco dei giochi offline lucchettati dal DRM. Come se non bastasse, l'intrusione ha permesso ai malfattori di accedere ai dati dei 77 milioni di utenti del PSN: nomi, indirizzi postali, indirizzi di mail, date di nascita, password e login PSN.

Nel gergo di Internet, questo è quel che si chiama un EPIC FAIL. Specialmente se si considera la clamorosa mancanza di trasparenza sull'accaduto da parte di Sony.
(Vi consiglio di leggere l'articolo nel caso abbiate utilizzato postepay o carte di credito)

Prendo questo EPIC FAIL per fare un ragionamento economico: il gioco online di PS3 è gratuito e questa cosa è stata uno dei cavalli di battaglia di Sony contro Microsoft (il Live è a pagamento).


Premesso che io sono felice possessore di entrambi le console e con entrambi gioco online (quindi sono imparziale), posso dire che i 60 euro all'anno li spendo ben volentieri per giocare Live con la 360 perchè, oltre a non aver mai avuto problemi più o meno gravi (avuti con il PS Network) il servizio è molto migliore (più veloce, meno aggiornamenti, grafica accattivante e funzionale) e, a quanto pare, molto più sicuro.

Questo caso è un esempio di come il pagare di più un servizio, a determinate condizioni (concorrenza) conviene rispetto al servizio più economico-gratuito. Non si deve sempre e solo guardare il prezzo, ma il rapporto QUALITA'/PREZZO.


lunedì 25 aprile 2011

Le bugie sui conti dell'Italia



Segnalo un articolo apparso su "La Stampa" di Bill Emmott, ex direttore dell'Economist, in cui spiega molto bene la situazione dell'Italia, sbugiardando chiaramente molte delle convizioni che ogni giorni sentiamo dire da politici e pseudo giornalisti. I fatti che andrete a leggere sono stati ripetuti mille volte da gente come me e molto più brava-preparata di me, quindi nulla di nuovo sotto il sole, però lette tutte assieme in questo modo credo siano più forti.

Invito tutti voi a condividere ciò che Emmott dice. Se non ci informano, è nostro dovere informarci da soli e il miglior modo è condividere ciò che i guru-esperti, quelli veri ed onesti, dicono.


Il titolo è appunto "Le bugie sui conti dell'italia":

E’ normale aspettarsi dai politici mezze verità quando non addirittura bugie: in questo l’Italia non è unica, anche se resta un’eccezione la capacità del suoi leader di dire qualcosa un giorno per negarlo il giorno dopo, nella peraltro giustificata convinzione che le loro parole verranno comunque rapidamente dimenticate. Ma non mi aspettavo che questo fenomeno riguardasse anche l’economia, campo dove è facile verificare come stanno davvero le cose. Eppure, andando in giro per l’Italia, mi sono accorto che dichiarazioni false sull’economia nazionale vengono prodotte ogni giorno non solo dai politici, ma anche da banchieri, imprenditori e perfino esponenti del governo.

E’ vero che alcune di queste dichiarazioni potrebbero venire catalogate più come opinioni che come constatazioni dei fatti, in quanto l’economia possiede aspetti soggettivi e spesso il dibattito riguarda un futuro imprevedibile sul quale non si dispone di certezze. Eppure mi sembra che ci sia qualcosa di più, visto che il ricorso a dichiarazioni false, anche sul presente e sul passato, resta così diffuso. Così ho prodotto una teoria: si tratta di una forma di auto-illusione nazionale, nel tentativo di sfuggire alla dolorosa realtà.

Permettetemi di spiegarla. Il primo mito che ho sentito decine di volte ripetere agli imprenditori è che l’Italia è nell’ottima posizione della seconda «economia d’esportazione» d’Europa, dopo la Germania.

L’ultima volta l’ho sentito il 3 marzo, quando il Sole - 24 Ore ha organizzato un dibattito con me e Marco Fortis della Fondazione Edison sull’economia italiana, e nella loro introduzione all’articolo in merito i giornalisti del quotidiano economico hanno scritto: «Le esportazioni, invece, viaggiano a ritmo sostenuto, seconde soltanto a quelle della Germania». Ciò nonostante il fatto che durante il dibattito io e Fortis ne abbiamo parlato e abbiamo convenuto che non era vero.

L’idea è bella, ma purtroppo le esportazioni annue dell’Italia la collocano non al secondo, bensì al quarto posto nell’Ue, con il sorpasso della Francia e dei Paesi Bassi. Se poi, come si dovrebbe fare se si misurano le entrate reali dalle esportazioni, si includono nel calcolo anche i servizi, l’Italia scende al quinto posto, battuta anche dal Regno Unito. Si potrebbe anche ammettere che nel caso dei Paesi Bassi alcune esportazioni sono in realtà re-esportazioni in quanto si tratta di prodotti trasportati su per il Reno e lavorati laggiù, ma anche con questa correzione l’Italia non riesce a riguadagnare il secondo posto.

Si potrebbe obiettare che sono soltanto dettagli statistici, che le esportazioni italiane restano forti e che i giornalisti del Sole si riferivano alla loro variazione di crescita piuttosto che al loro livello in termini assoluti. Questa affermazione è stata recentemente fatta nientemeno che da Antonio Vigni, presidente della terza banca italiana, Monte dei Paschi di Siena, in un’intervista («View from the Top», 15 aprile 2011) al Financial Times. In questo breve colloquio ha opportunamente ripetuto tre dei miei miti preferiti sull’economia italiana. Ha detto che la crisi economica ha «messo alla prova la forza del nostro sistema industriale», che stiamo assistendo a «un balzo del livello delle esportazioni e della ripresa», e che la situazione delle famiglie italiane è «positiva per l’economia» a causa del loro basso livello di indebitamento e alto tasso dei risparmi.

Non voglio prendermela con Vigni: ha solo ripetuto quello che dicono in tanti, anche se da un banchiere mi sarei aspettato che ogni tanto desse un’occhiata ai numeri. Per quanto riguarda la prima affermazione, che il sistema industriale italiano ha dimostrato la sua forza, basta andare a guardare l’ultimo Bollettino economico prodotto dalla Banca d’Italia, dove si dice che «la crescita del settore manifatturiero è stata meno robusta rispetto ai principali Paesi della zona dell’euro: rispetto al livello pre-crisi, nel febbraio 2011 la produzione industriale in Italia era scesa circa del 18%, contro il 9% in Francia e il 5% in Germania». Numeri che fanno apparire il «sistema industriale» italiano debole più che forte.

Ma tanto le esportazioni sono tornate a crescere, no? E’ vero che l’export di beni e servizi dall’Italia è aumentato nel 2010 dell’8,9%. Ma nello stesso periodo la Francia ha visto un aumento del 10,1%, il Belgio del 10,2% e la Germania del 14,1%. A essere onesti, Vigni ha dato questa risposta alla domanda se fosse possibile paragonare l’Italia al Portogallo, alla Grecia, all’Irlanda e alla Spagna, le economie della zona euro che non fanno dormire gli investitori. Diamo però un’occhiata ai tassi di crescita delle esportazioni portoghesi (8,7%) e spagnole (10,3%) del 2010, e la presunta potenza esportatrice dell’Italia non appare più così convincente. Senza poi menzionare il fatto che l’Italia nell’ultimo decennio ha avuto un deficit commerciale, in quanto importa più di quanto esporta.

Allora Vigni ha ragione ad affermare che le famiglie italiane sono un fattore positivo, con i loro debiti bassi e i risparmi cospicui? E anche quando dice che il sistema bancario italiano è più stabile di quello di molti altri Paesi europei? Entrambe queste affermazioni così diffuse sono vere, ma non contano molto. Potevano suonare rassicuranti durante la tempesta finanziaria del 2008-9, quando l’alto indebitamento delle famiglie, il basso tasso di risparmio o banche propense ad avventure internazionali erano fattori di rischio, minacciando la riduzione dei consumi o il collasso del sistema bancario. Ma oggi, la tempesta è passata.

Le famiglie italiane possiedono un patrimonio di ricchezza impressionante. Ma le loro spese di consumo non sono molto positive per l’economia, per la semplice ragione che le entrate in termini reali (tenendo conto dell’inflazione) e dopo il pagamento delle tasse sono scese per tre anni consecutivi, dal 2008 al 2010. Il consumo delle famiglie si è ridotto meno delle entrate nel 2008-9 e si è rianimato nel 2010, in quanto la gente ha deciso di mettere da parte meno di prima. Di fatto, il famigerato tasso di risparmio delle famiglie italiane (un autentico fattore di forza nel passato) sta scendendo dal 2002, e nel 2010 è stato - secondo i dati dell’Istat - inferiore sia a quello della Germania che a quello della Francia. L’abitudine a spendere i risparmi può mantenersi, ma in questo caso in breve tempo l’Italia non vanterà più un alto tasso di risparmio. E’ quello che è accaduto in Giappone negli ultimi 20 anni.

La questione della forza e del peso dei risparmi delle famiglie ci fa capire perché le illusioni sull’economia italiana sono così diffuse e radicate. Esse sono un modo per non vedere le debolezze, in questo caso il fatto che i redditi delle famiglie stanno scendendo e sono deboli ormai da più di un decennio. Questo è stato vero perfino nei periodi di riduzione del tasso di disoccupazione, in quanto era dovuto essenzialmente alla creazione di milioni di impieghi precari e a bassa retribuzione. Ora che la disoccupazione è tornata a crescere, e per ora non accenna a diminuire, la politica e l’opinione pubblica dovrebbero concentrarsi proprio su questa incapacità di creare posti di lavoro che producano un aumento del reddito delle famiglie.

Lasciamo in pace il signor Vigni, l’ho torturato abbastanza. La mia prossima vittima sarà un rappresentante molto importante del Tesoro, di cui non posso fare il nome in quanto le parole che sto per citare sono state pronunciate «off the record» a un seminario per giornalisti britannici tenutosi a Venezia in gennaio. La sua dichiarazione comunque è apparsa in un articolo sull’economia italiana nella rivista di cui sono stato direttore, The Economist, e naturalmente ha attratto la mia attenzione. Questo signore ha detto ai giornalisti che l’economia italiana dovrebbe venire calcolata come divisa nel Nord, che cresce del 3% l’anno, e il Sud che scende del 2% annuo, risultando nell’apparentemente debole tasso annuale dell’1%.

Questa dichiarazione è assurda comunque la si guardi, ma soprattutto è pericolosa e fuorviante. E’ assurda in termini matematici: in quanto il Sud ha un Pil minore, ci vorrebbe molto più di una riduzione del 2% annuo per neutralizzare su scala nazionale l’effetto della crescita del 3% del Nord. Ma è assurda anche in termini fattuali: nell’ultimo decennio, il Pil del Sud è sceso solo due volte: di poco nel 2003, e poi nel biennio 2008-9, quando comunque si è ridotto meno di quello del Nord. In nessun anno dell’ultimo decennio il Centro-Nord è cresciuto più del 2%.

Tutto questo non è per negare che il Sud resta un problema. La sua crescita economica dovrebbe in effetti essere più rapida di quella del Nord, in quanto ha un minore costo del lavoro e parte da una posizione più bassa. Ma il punto è un altro: questo funzionario molto importante del Tesoro ha usato questo falso per dire che non era richiesto alcun intervento nel cuore dell’economia italiana, il cui tasso di crescita e la ricchezza sono già a livelli tedeschi. In realtà questo si può affermare soltanto per alcune zone dell’Italia settentrionale, escludendo non solo il Sud, ma anche il Centro e pure diverse regioni del Nord. Metterla in questi termini equivale a dire che l’America sta andando bene perché Silicon Valley ha ricchezza e successo, o che l’economia britannica è sana perché Londra è una città ricca.

E’ un modo di distrarsi, intento ad auto-ingannarsi. Perfino il settore manifatturiero non sta andando bene quanto i corrispettivi in altri Paesi europei, ma concentrarsi solo su questo significa perdere di vista il quadro generale: che non vengono creati posti di lavoro, che la produttività non sale, così come non aumentano il reddito e gli standard di vita. Questa debolezza è evidente sia nel settore dei servizi che in quello manifatturiero. Diverse società incontrano troppi ostacoli per crescere, burocrazia, legislazione sul lavoro, accordi sindacali, tasse, privilegi di varie categorie, monopoli, istruzione mediocre e tanti altri.

Questi fattori rendono statisticamente falsa anche la fondamentale asserzione sull’Italia, che la sua forza maggiore sono i suoi imprenditori: il tasso di nascita di nuove imprese in Italia negli anni precedenti alla crisi è stato inferiore sia a quello della Francia che a quello della Germania. Ma decidere di rimuovere questi ostacoli, rischiando di infastidire quelli che ne beneficiano, sarebbe difficile, forse anche doloroso. Dunque, meglio attaccarsi alle illusioni di forza ed elasticità come virtù nazionali.



venerdì 22 aprile 2011

Tasse sull'auto per finanziare le province da eliminare


Sorprese in vista per gli automobilisti. Con la riforma del federalismo fiscale è in arrivo l’aumento dell’Ipt, l’imposta provinciale di trascrizione. Un balzello che si paga per l’acquisto di un’automobile e che finisce nelle casse delle amministrazioni provinciali. Gli stessi enti sui quali circola da tempo la proposta di sopprimerli. Il Governo ha inserito la norma nel decreto legislativo firmato il 31 marzo (disposizioni in materia di federalismo fiscale regionale e provinciale) che farà vedere i suoi effetti non appena il Ministro dell’Economia varerà il decreto attuativo. Presumibilmente entro la fine di maggio l’aumento dovrebbe entrare in vigore.

Devo dire che la sfacciataggine di chi sta al governo è fuori dal mondo: sono anni che vogliono abolire le province (enti INUTILI) e non lo fanno, così come attuare il federalismo fiscale proprio per favorire una diminuzione di pressione fiscale.

Il risultato è stato: non abolire le province, attuale un fasullo federalismo fiscale che porta come risultato un aumento delle tasse.

Meglio di così cosa si può avere? La cosa buffa poi è che la maggioranza dei nostri connazionali li rivoterà ancora...




mercoledì 20 aprile 2011

Come sei messa male povera Italia



Qualche tempo fa è uscito il "Global Competitiveness Report" del WEF, uno dei rapporti più importanti che riguarda lo stato di salute dell'economia e non di ciascun paese.
Ho guardato ovviamente i dati dell'Italia per vedere un po' come siamo messi e la situazione ovviamente non è buona.

Guardando subito il Ranking della "The Global Competitiveness Index 2010–2011" (tabella 5, pagina 16) notiamo subito che siamo al 48imo posto, dietro a nazioni come Barbados (43), Oman (34), Brunei Darussalam (28).

Curioso il dato sulle "Instituzioni": siamo al 92esimo posto (tabella 6, pagina 18)..ce la giochiamo con il "Regno del Lesotho" (100) e con il Burkina Faso (90).

Vi invito a vedere la figura 1 di pagina 26:


Quello che mi stupisce, oltre all'imbarazzante performance, sono le nazioni con cui oramai ci confrontano: non troviamo Germania, Francia, Svezia ma Polonia, Rebubblica Ceca e Spagna! Per fortuna dico io, perchè se guardiamo l'area della nostra figura, già sovrastata dalle nazioni sopra, immaginatevela in questo grafico qui:




Da pagina 192 troviamo poi i dati più precisi per quanto riguarda il nostro paese. Subito salta all'occhio il grafico del PIL pro Capita dal 1980 al 2009 in cui si raffrontano l'Italia e le economie avantaze:

Si può notare come dal 1993-94 (da quanot Berlusconi è entrato in Politica) iniziamo a accumulare uno svantaggio che arriva al suo massimo in questi ultimi 5 anni.

I fattori più problematici emersi per fare business sono:

Tutto cose ovvie per chi studia la materia e che vengono ripetute da anni, peccato che non si venga ascoltati, anzi.

Lascio a voi poi leggere la posizione nel ranking in base ad ogni voce che trovate a pagina 193.

Riflessioni:

Credo ci sia molto poco da dire e tanto, veramente tanto lavoro da fare. Questa classe politica è qui da oramai 15-20 anni (alcuni anche 30-40) e non sono stati in grado di migliorare la situazione anzi, essa è andata peggiorando e continua a farlo sempre più velocemente. Spero che abbiate capito oramai che è arrivato il tempo di cambiare e anche in fretta.


Quando il nucleare salva un premier



Il governo ha fatto marcia indietro sul nucleare e il referendum di giugno rischia di saltare.

Senza riprotare tutte le dichiarazioni sulla necessità dell'energia nucleare per il nostro paese fatte negli ultimi tre anni (potete trovarle qui nell'immagine "Dichiarazioni Atomiche") in cui, di nuovo, i nostri governanti si smentiscono (in primis Tremonti), è doverso segnalare che, se salta il nucleare, salta anche il referendum sul legittimo impedimento che sta tanto a cuore al nostro premier e ai suoi amichetti di merdende.

Sì perchè questo poteva essere davvero un referendum in cui si sarebbe raggiunto il quorum proprio grazie al nucleare.

Non per essere cattivi (anzi sì), ma sembra proprio che abbiano colto la palla al balzo per annullarlo/rinviarlo in un altro momento magari più felice per raggiungere i loro scopi...come sempre. Il bello è che c'è chi pure esulta senza capire questo fatto.


sabato 16 aprile 2011

Eh sì Tremonti, la colpa è di noi giovani che non lavoriamo come schiavi..





Se l'Italia fosse un paese normale, le dichiarazioni di Giulio Voltremort scatenerebbero un putiferio, ma purtroppo non lo è.

Il Ministro dell'Economia dice:

«In Italia ci sono 4 milioni di immigrati, tra cui moltissimi giovani che lavorano da mattina a sera e anche di notte. L'Italia è un Paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone...

Quali sarebbero le condizioni? Lavorare 24/7 senza ferie?


«Non mi risulta che tra i giovani immigrati ci sia disoccupazione, è tutta gente che lavora tantissimo», ha aggiunto il ministro. E a chi gli chiede se sia il caso di chiudere all'immigrazione o se i giovani italiani debbano adeguarsi, Tremonti replica secco: «Escludo la prima ipotesi».

E invece ti risulta male, molto male, visto che il giornale del tuo stesso capo 16 giorni fa ha pubblicato un articolo in cui scrive:

Dal 2008, infatti, l'Italia conta 265 mila immigrati disoccupati (pari al numero di abitanti di una città come Venezia o Verona), di cui 110 mila causati dalla crisi, tanto che il tasso di disoccupazione è salito nell'ultimo biennio del 3,1% arrivando all'11,4% contro una media dell'8% degli italiani.

Ma alle balle di Tremonti ci siamo abituati da tempo noi..evidentemente molti italiani no.


Faccio poi una riflessione su questa frase del ministro:

L'Italia è un Paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone, evidentemente non c'è domanda per questi tipi di lavoro da parte di altri»

Vuole dire per caso che, essendo i giovani, ad esempio, laureati, il nostro paese non offre posti di lavoro per loro? Spero di aver capito male io perchè sennò la situazione è davvero molto preoccupante signor ministro.

Ora, tanto per, vorrei farle una piccola lezione di economia: gli immigrati (almeno in Italia) fanno lavori manuali, ovvero ad altà intensità di lavoro, caratteristica tipica dei paesi poveri/in via di sviluppo (ad esempio la Cina, anche se ultimamente sta avvenendo una trasformazione). Le economie sviluppate hanno una maggioranza di capitale (come è da noi) e quindi lavorano sotto quell'aspetto lì, limitando la manodopera di bassa qualità a favore di lavoratori altamente specializzati capaci di utilizzare quel capitale. L'Italia ha sì il capitale, ma pochi che lo sappiano sfruttare; si ritrova invece una componente molto alta di lavoratori non specializzati/di bassa qualità (tra cui gli immigrati) che compiono lavori umili, di assemblaggio etc etc..quelli che fanno i cinesi.


Il problema di ciò è che non avendo lavoratori specializzati, noi non possiamo, nonostante il capitale, importare tecnologia avanzata al fine di sfruttarla e, sì, copiarla (a differenza della Cina che invece ha investito in quel tipo di lavoratori e ora sta importando tecnologia). La colpa non è dei giovani che studiano e che poi, giustamente, si rifiutano di svolgere lavori umili e poco pagati come dice lei, ma è vostra poichè non sfruttate questi giovani a dovere.

Degradando i giovani a compiere quei lavori, non farà altro, signor ministro, che far tornare l'Italia all'epoca pre boom economico, in cui eravamo un paese povero che iniziava il proprio cammino verso lo sviluppo.

Sarebbe ora di iniziare a sfruttare i giovani e i loro studi, le loro idee e ambizioni per guardare avanti e non indietro, come mi pare voglia fare lei.


PS importante: detto ciò, ci sono dei giovani che di lavorare non hanno assolutamente voglia (tantomeno di studiare) e per questi sono d'accordo con il ministro.

giovedì 14 aprile 2011

E se le tasse sono alte nel mondo del calcio...




Per il patron del Milan, e' difficile restare competitivi
Guarda la foto1 di 1
(ANSA)-ROMA, 13 APR- Per vincere bisogna spendere, ma in Italia e' tutto piu' complicato perche' le tasse sono circa il doppio rispetto a quelle spagnole. Silvio Berlusconi, nel corso della cena con alcuni corrispondenti esteri, ha parlato anche come 'patron' del Milan, sottolineando le difficolta' che un imprenditore incontra nel mondo del calcio. Nonostante le ingenti cifre investite - ha spiegato il Cavaliere - le entrate sono inferiori rispetto agli altri club europei: cosi' e' molto difficile restare competitivi.

Queste le ultime dichiarazioni del presidente del Milan e del Consiglio, che condivido. Le tasse sono alte nel calcio e tasse alte = meno competitività, giustissimo.


Le tasse sono troppo alte però anche per le aziende normali, che producono beni e servizi, non solo per le società di calcio.

Ricordo inoltre al presidente che negli ultimi 10 anni lui ha governato il paese per ben 8, promettendo a più riprese una diminuzione della pressione fiscale e che, ovviamente, non è avvenuta (la pressione fiscale reale, considerando l'evasione, è intorno al 60% del PIL per chi le tasse le paga fino all'ultimo centesimo).

Eppure, ed è bene sottolinearlo, le leggi che ha voluto fortemente le ha fatte senza grossi problemi (ad esempio l'ultima sul processo breve, per non parlare del falso in bilancio e altre convenienti alla cricca), com'è che non si è mai riuscito a diminuire le tasse (anzi, le hanno pure aumentate, vedi governo Prodi 2006-2008)?

Spero, visto la passione a tratti fanatica degli italiani per le squadre di calcio, che questa uscita del presidente sia un campanello d'allarme talmente forte e preoccupante da spingere l'opinione pubblica a volere con veemenza una riforma fiscale, al ribasso. Se questo è l'unico modo....meglio di niente.


mercoledì 13 aprile 2011

Per avere notizie sicure dal Giappone e sulla situazione Giapponese





Essendo i nostri giornalisti e quotidiani non molto affidabili sulle questioni nazionali, figurarsi su quelle internazionali, vi segnalo due blog molto ben fatti ed interessanti al fine di reperire informazioni utili e veritiere sulla situazione giapponese, sulla centrale nucleare di Fukushima e sul Giappone in generale scritte da nostri connazionali che vivono e lavorano in questo fantastico paese.

Eccovi i link:





Interessantissimi i posti di "debinking" delle sciocchezze scritte dai vari giornalisti italiani. Un esempio è sicuramente la "crociata" giustamente iniziata contro Giampaolo Visetti di Repubblica.it.

Qui potrete trovare tutti i post del primo blog su di lui, qui sul secondo (queste sono puntate riguardanti più in generale sulla situazione e sulle balle che vengono dette e scritte in Italia).

martedì 12 aprile 2011

La decrescita è davvero così felice?



Poche volte leggo i blog all'interno dei quotidiani online (più per mancanza di tempo che altro, essendo io un tipo molto curioso) e quando lo faccio di solito sono quelli di autori che conosco e di cui mi fido abbastanza. Questa volta per curiosità ho fatto un'eccezione e mi son ritrovato "fra le mani" un articolo di questo blog i cui autori sono Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio sul Fatto Quotidiano: Il titolo è "Decrescita e finanza etica: idee per uscire dalla crisi". Leggendo la biografia, si legge che i due autori sono esperti di risparmio ambientale, il primo è anche laureato in lettere e il secondo si dice che ha lavorato per un'associazione e ora vive in Italia. Entrambi sono membri del "Movimento per la Decrescita Felice" (di cui Pallante è fondatore e presidente) il cui statuto lo potete trovare qui.

Fatta questa breve introduzione, volevo solo fare qualche appunto sull'articolo.

All'inizio si afferma che (grassetti miei):

Dopo la caduta del Muro di Berlino, ci si era illusi che l’economia capitalistica e liberista, guidata dalla mano invisibile del mercato, avrebbe portato progresso e benessere per tutti, ma così non è stato. Il mondo non è mai stato così ricco (per pochi) e mai così povero (per moltissimi) e tale divario è in aumento anche nel mondo occidentale

Non è vero, in quanto una rapida ricerca mostra come le persone che hanno un reddito al di sotto della linea di povertà sono diminuite e in diminuzione (fonte e fonte):

Region 1990 2002 2004
East Asia and Pacific 15.40% 12.33% 9.07%
Europe and Central Asia 3.60% 1.28% 0.95%
Latin America and the Caribbean 9.62% 9.08% 8.64%
Middle East and North Africa 2.08% 1.69% 1.47%
South Asia 35.04% 33.44% 30.84%
Sub-Saharan Africa 46.07% 42.63% 41.09%



Anche la speranza di vita è aumentata notevolmente (tranne nell'Africa Sub-Sahariana a causa dell'AIDS):


Poi:

Infine, la questione ambientale: forse mai come negli ultimi anni la natura ha svelato la sua forza distruttiva fra uragani, terremoti e tsunami. Nessuno mette più in discussione l’effetto serra, ma ci si è già dimenticati del disastro ecologico causato dalla piattaforma petrolifera della Bp un anno fa al largo della Florida
Qui non ho capito: si vuole collegare l'effetto serra agli tsunami e terremoti? No perchè questi ci sono sempre stati...


Ce n’è abbastanza per decretare il fallimento e la fine di tutte le teorie economiche degli ultimi 50 anni e per dire che siamo di fronte ad una crisi economica, finanziaria, ambientale, politica, sociale e culturale senza precedenti.

Di tutte no, di alcune sì (più della fine, di una rivalutazione).

Vediamo ora che cosa propongono i sostenitori della decrescita felice:

La decrescita si pone l’obiettivo di ridurre l’utilizzo di combustibili fossili, il consumo della materie prime e la produzione di rifiuti. La decrescita non è una semplice diminuzione del Pil, ma una riduzione guidata della produzione e del consumo di merci che non sono sempre sono beni. Bisogna ridurre il superfluo e gli sprechi. Meno e meglio. Per raggiungere tale obiettivo occorrono tecnologie ben più avanzate di quelle attualmente in uso. Da ciò deriva la necessità di creare occupazione in attività professionalmente più evolute e oggettivamente utili (ad esempio, nel settore dell’agricoltura biologica, del risparmio energetico, del recupero di materiali, della produzione di energia da fonti rinnovabili). Professioni utili non solo perchè producono beni (e non merci) che soddisfano bisogni primari ed essenziali [...]

[...]Le politiche economiche tradizionali, finalizzate a superare la crisi e a rilanciare la crescita sostenendo la domanda attraverso la spesa pubblica, la riduzione delle tasse e il credito al consumo, hanno fallito miseramente. In questa fase storica nei paesi industrializzati la decrescita è l’unico modo di creare occupazione[...]

[...]Il superamento della crisi economica si può dunque realizzare solo sviluppando le tecnologie che consentono di attenuare la crisi ambientale aumentando l’efficienza con cui si usano le risorse, riducendone il consumo e, di conseguenza, l’impatto ambientale[...]

Queste sono le parti più interessanti, vediamo un po' di commentarle.

Prima di tutto, il fatto di utilizzare minori quantità di materie prime non è assolutamente una decrescita, anzi, direi che è un'ottima crescita (di efficienza) alla quale si sta già lavorando da tempo.
Sulla riduzione del superfluo: perchè? Perchè tutti vogliono eliminare il superfluo ad ogni costo? Ma soprattutto, chi stabilisce cosa sia superfluo e cosa non lo sia? Di beni essenziali (banalizzo) per vivere oltre al cibo (ma non le prelibatezze da ristorante, l'essenziale), all'acqua e, visto che non abbiamo più il pelo, i vestiti e un tetto per ripararsi, non ce ne sono, quindi eliminiamo tutto e torniamo alla preistoria. Tanto per dire, il pc è essenziale? Per me sì, per i miei nonni assolutamente no. Il superfluo a me piace: mi piace poter viaggiare in treno con l'Ipod messaggiando con il telefono (beh, onestamente gioco), andare in moto, giocare in team con i miei amici contro americani, giapponesi, russi con i videogiochi etc etc.

Sulle tecnologie ben più avanzate (bisognerebbe definire "avanzate" ma sorvoliamo in quanto non è importante) anche qui, lo sviluppo tecnologico è fonte di crescita e non decrescita, quindi il termine è assolutamente fuori luogo.

Sulla crisi sono d'accordo se per credito al consumo si intende l'utilizzo di questo in maniera eccessiva e scriteriata, tranne per le tasse (sono aumentate).




Una considerazione infine su PIL e povertà: il decresce del prodotto interno lordo non è cosa buona e, se non lo sanno, si è verificata poco tempo fa in Italia (-5%) con conseguenze che tutti noi abbiamo sotto gli occhi.

PIL in decrescita significa produrre di meno, quindi lavorare meno, guadagnare meno e comprare/consumare meno (senza considerare la disoccupazione e le non pensioni pagate).

Sulla povertà, mi spiace, ma si combatte, ad esempio, individuando i vantaggi fattoriali di quel determinato paese e puntando a produrre quei determinati beni (anche superflui). I paesi che hanno iniziato a fare ciò, hanno diminuito il loro indice di povertà (si pensi all'Asia), a differenza invece dei paesi africani sub sahariani in cui ciò non è avvenuto (per molte cause, in primis le guerre) sfruttando quindi quel tipo di economia che voi rifiutate.

Tra l'altro, i paesi più poveri sono quelli con PIL nazionale e pro capite più basso...




lunedì 11 aprile 2011

Tutto ciò che uso e faccio è di Berlusconi

Vivo a Milano 2, in un quartiere costruito dal Presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in un’azienda di cui è principale azionista il Presidente del Consiglio. Anche l'assicurazione dell'auto con cui mi reco a lavoro è del Presidente del Consiglio, come del Presidente del Consiglio è l'assicurazione che gestisce la mia previdenza integrativa.

Mi fermo tutte le mattine a comprare il giornale di cui è proprietario il Presidente del Consiglio. Quando devo andare in banca, vado in quella del Presidente del Consiglio. Al pomeriggio, quando esco dal lavoro, vado a far la spesa in un ipermercato del Presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende partecipate dal Presidente del Consiglio.

Alla sera, se decido di andare al cinema, vado in una sala del circuito di proprietà del Presidente del Consiglio, e guardo un film prodotto e distribuito da una società del Presidente del Consiglio: questi film godono anche di finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal Presidente del Consiglio.

Se la sera rimango a casa, spesso guardo la TV del Presidente del Consiglio, con decoder prodotto da società del Presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del Presidente del Consiglio sono continuamente interrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitaria del Presidente del Consiglio. Seguo molto il calcio, e faccio il tifo per la squadra di cui il Presidente del Consiglio è proprietario.

Quando non guardo la TV del Presidente del Consiglio guardo la RAI, i cui dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il Presidente del Consiglio ha fatto eleggere. Quando mi stufo navigo un po’ in internet, con provider del Presidente del Consiglio. Se però non ho proprio voglia di TV o di navigare in internet leggo un libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio.

Naturalmente, come in tutti i paesi democratici e liberali, anche in Italianistan è il Presidente del Consiglio che predispone le leggi che vengono approvate da un Parlamento dove molti dei deputati della maggioranza sono dipendenti ed avvocati del Presidente del Consiglio, che governa nel mio esclusivo interesse, per fortuna!

PS.: Tutte le persone che ricevono la presente comunicazione hanno l'obbligo civile e morale di trasmetterla ad almeno altre cinque persone: non sia mai che qualcuno lo votasse di nuovo.



(non sono io l'autore, ma è una mail che è stata condivisa su FB dal professor Boldrin che mi è sembrato molto utile postare qui. Direi di condividere il più possibile..)

Ora basta...pure l'Economist lo dice




La questione meridionale non è uno scontro fra tifoserie







Scrivo solo queste poche righe per fare una considerazione sulla questione meridionale. Mi sembra che, sia da una parte (gente del nord) sia dall'altra (gente del sud) si discuta a modi "tifosi di calcio": "Polentoni" tifosi del Nord Italia contro "Terroni" tifosi del Sud Italia, un po' come se fosse milanisti contro interisti, romanisti contro laziali...

Non è questo il modo di discutere seriamente e obiettivamente di una questione molto importante per il nostro paese. Lasciamo da parte le origini di ciascuno di noi perchè, bene o male, ora facciamo parte di un paese solo, una nazione sola.

Sia il nord che il sud hanno problemi, diversi e più o meno gravi e TUTTI da risolvere.


L'evasione (ad esempio) è un problema che c'è, sia su che giù: se il sud ha percentuali più elevate, è così PUNTO, il resto è solo una perdita di tempo inutile e dannosa.

Se lo stato non ha curato bene gli investimenti (badate bene, non vuol dire che ha investito poco, ma lo ha fatto male), la sicurezza etc etc nel sud Italia, limitando così la sua crescita, è vero, PUNTO.

Il resto è noia...



domenica 10 aprile 2011

Un articolo dal futuro





Segnalo questo ottimo articolo apparso sul NYTimes di qualche domenica fa di Mankiw in cui immagina un discorso presidenziale nel marzo del 2026.

Le prospettive sul debito americano e sulla sua sostenibilità non sono buone, anzi. Come si dice nell'articolo di Mankiw, o si cambia subito, tagliando le spese, oppure nel futuro bisognerà rivoluzionare tutta la spesa pubblica, eliminando tantissime cose, anche utili (si parla di sicurezza ad esempio).


Parlando dell'Italia (che ci riguarda più direttamente), a meno di cambiamenti, anticiperei quel discorso presidenziale di minimo 10 anni. La nostra situazione è peggiore (vedasi PIIGS), considerando anche la nostra non crescita e la mancanza di una piccola cosa chiamata "Silicon Valley" che per il presente e futuro è un ottimo (e sicuro) mezzo di crescita (aggiungerei anche la mancanza di multinazionali come Apple o Microsoft tanto per citarne due).



I politici dovrebbero spiegare MOLTO chiaramente questo ai cittadini: X tagli che oggi DEVONO essere effettuati (badate bene, non a casaccio) per non tagliare Y domani, con Y>>>>>X.





giovedì 7 aprile 2011

La bassa e debole istruzione una delle cause della crisi in italia



Riprendo un articolo apparso sul WSJ intitolato "Weak Educational System Hobbles Portugal" in cui si dice come il basso livello di istruzione del paese abbia radici profondissime (dal 1600 circa) e riguardi un po' tutta la parte cattolica dell'Europa (specialmente il sud: Portogallo ,Spagna, Sud della Francia, Italia...) , aggravata poi dai regimi dittatoriali che garantivano solamente i primi tre anni di scuola (dai 6 ai 9 anni) a tutti. Questo è un enorme problema in quanto non si è venuta a formare tutta una fascia lavorativa preparata e specializzata a compiere determinati lavori; a questo si aggiunge una poca flessibilità nel cambiare lavoro ed impararne di nuovi.
Alla fine dice anche che la situazione è migliorata soprattutto negli ultimi 20 anni, ma ancora molto si può fare.

Incuriosito da ciò, sono andato a vedermi un po' i dati che riguardano l'Italia (visto che è stata indirettamente chiamata in causa). Ho trovato alcuni risultati (anche contrastanti sotto certi aspetti) che bene o male mostrano uno scenario abbastanza preoccupante e simile al Portogallo.

Secondo l'Istat (censimento 2001) sono 782 mila gli analfabeti in Italia, ma la maggior parte della popolazione ha un livello di istruzione massimo da licenzia media (circa 35 milioni di persone su un totale di quasi 54 pari al 64%). Solamente 3 milioni e 800 mila italiani circa possiede un diploma universitario o una laurea (7% della popolazione).

Un altro documento importante è la prima sintesi dei risultati degli invalsi il quale mostra come il nostro paese sia più indietro rispetto ai suoi concorrenti di egual sviluppo economico (si veda la pagina 12, ad esempio la figura sei riportata qui sotto)


Interessante anche la tabella 8 pagina 24 (copio tabella e commento):

Tabella 8-“Ha mai usato/usa un computer?”

Canada inglese 89,95% si
Canada francese 84,84% si
Svizzera tedesca 85,41% si
Svizzera francese 82,22% si
Svizzera italiana 72,97% si
Italia 51,97% si
Norvegia 92,94% si
Bermuda inglese 90,42% si
USA 86,03% si


Il digital divide esiste all’interno di tutti i Paesi; il reddito è un fattore significativo in questo senso:
chi si trova nelle fasce più basse di reddito ha meno opportunità di accesso, nello stesso tempo età,
genere, titolo di studio, tipo di occupazione sono associati alla familiarità ed all’uso del computer.
Si trovano meno persone tra quelle che hanno più di 45 anni che usano il computer; i Paesi europei evidenziano differenze nell’uso del computer in relazione al genere, ma questo non accade in Nord America.
Chi ha meno del diploma di secondaria superiore usa meno il computer di chi ha titoli più elevati;
questo effetto è molto evidente a Bermuda e in Italia.
Le persone che usano il computer risultano più competenti di quelle che non lo usano


Un altro studio interessante è quello del linguista Tullio De Mauro (che va in contrasto con i dati Istat) mostra come (fonte. Attenzione, non è il documento originale..purtroppo non sono riuscito a trovarlo):

Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile.

Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea.

e ancora:

Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza. Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica.

Un altro documento interessante che vi inviterei a leggere è questo di Roberto Fini il quale mostra un'analisi più di tipo economico. Cito qualche riga:

..Se ci concentriamo sui tassi di partecipazione al mercato del lavoro, possiamo
facilmente verificare che la gran parte di coloro che non raggiungono il diploma di
scuola secondaria superiore (o perché non proseguono gli studi dopo l’obbligo, o
perché li abbandonano pur avendoli inizialmente intrapresi) appartengono a fasce
reddittuali basse. Benché in Italia si siano fatti molti passi avanti negli ultimi decenni,
la piena partecipazione degli aventi diritto alla scuola secondaria continua ad essere
un problema per la società italiana. Se passiamo poi a prendere in considerazione
l’istruzione universitaria i tassi di mancata partecipazione e di abbandono
raggiungono livelli drammatici...
Se il livello di istruzione è basso, non possiamo importare tecnologia high-tech per sfruttarla e copiarla (non abbiamo gente in grado di farlo), la maggior parte della popolazione farà lavori di bassa qualità (economicamente parlando) producendo poco reddito (e quindi PIL ridotto) e guadagnando poco (quindi consumando meno, che è forse il maggior problema in questo momento). Ritorneremmo insomma ad essere un paese di medio basso sviluppo pre boom economico.

Spingere i giovani a studiare (soprattutto matere più scientifiche) DEVE essere un obiettivo del governo, di destra o di sinistra che sia, valorizzando poi questo studio. Per formare un ingegnere (prendo questo come esempio ma vale per tutti) ci vogliono 25-30 anni ed è un investimento importantissimo (e anche costoso) per il paese ma che se sfruttato darà grossi utili (e ricavi) allo stesso. Vediamo di capirlo...

PS: vi invito a guardare questo video proprio a riguardo dell'influenza dell'alfabetizzazione sullo sviluppo economico di un paese




lunedì 4 aprile 2011

Italiani, per quanto ancora vi farete prendere in giro da Berlusconi?



Le 60 ore son passate e Lampedusa non è vuota, anzi, continuano ad arrivare immigrati (anche tunisini, visto che la stessa Tunisia ha negato di essersi accordata con il governo italiano).
Il premier non ha quindi mantenuto la sua promessa di "liberare" Lampedusa...l'ennesa promessa non mantenuta...Tra l'altro mi piacerebbe anche capire dove vadano poi le persone che vengono trasportate, ma questo magari lo scopriremo nei prossimi giorni.


Che si fa ora? Si dimette? Rimane lì come ha sempre fatto? Perchè ha promesso senza avere un qualche cosa da perdere? Facile promettere senza però mettere in gioco nulla. Certo, lui a questo punto potrebbe rispondere: "Sono i cittadini che decidono, e loro hanno ancora fiducia in me". E' vero, infatti l'italiano medio sta diventando, oltre che credulone all'ennesima potenza, molto misericordioso (perdona sempre tutto a tutti, soprattutto a lui), molto masochista: sta sempre peggio, in relazione ai suoi concittadini europei, e invece di cogliere al balzo occasioni come questa per cambiare le cose....rimane fermo, immobile, continuando a farsi (e a farsi fare) del male.

Che bel paese l'Italia...


sabato 2 aprile 2011

L'importanza di avere studenti in Erasmus nelle nostre università






Se mandare i propri giovani in Erasmus per imparare nelle università più prestigiose del mondo e successivamente farli tornare per usufruire delle nozioni apprese è importante, lo è allo stesso modo l'attirare studenti stranieri nelle nostre università.

E' importante far venire a studiare ragazzi stranieri perchè, come questo articolo preso da Vox dal titolo "Studying abroad and international labour market mobility" osserva,
"Graduates who have studied abroad are about 15 percentage point more likely to work abroad after graduation."

Il 15% degli studenti che hanno studiato all'estero hanno più probabilità di lavorare anche all'estero. Le motivazioni sono molte: da chi trova il/la partner a chi si ritrova in un modo di vivere più consono a lui, a chi conosce molta gente etc etc.

Le implicazioni "politiche" sono molto importanti e spiegate nell'articolo:

These findings suggest that mobility decisions during university have long-run effects on the careers and labour-market outcomes of individuals. In particular, mobility during the course of the studies increases international mobility in the labour market. This highlights the importance of student mobility to attract highly-skilled workers. Attractive student migration policies are likely to increase the future inflow of high-skilled workers.

In pratica, le politiche per attrarre studenti porteranno ad un incremento di lavoratori altamente specializzati (importantissimi in quanto essi permettono di utilizzare, ad esempio, tecnologie avanzate che importiamo per anche copiarle).


Sono andato a vedere quanti studenti vengono in Italia in Erasmus in confronto agli altri stati europei (purtroppo non ho trovato i dati mondiali, se nel caso qualcuno li trovasse segni pure nei commenti): il nostro paese si trova al quinto posto, dietro a Spagna, Francia, Germania e Regno Unito (fonte: Lifelong Learning ProgrammeTHE ERASMUS PROGRAMME 2008/2009 A Statistical Overview 10: Chart 10: Incoming Erasmus students from EUR31: 2000/01-2008/09, Page 37).

E' un peccato visto che il nostro paese, al pari della Spagna, ha un clima molto favorevole oltre a città importanti come Milano e Roma che dovrebbero aiutare di più (si veda difatti la Spagna).

Sarebbe curioso scoprire il perchè preferiscano la Germania all'Italia....




Maledetti incentivi auto







Sono usciti gli ultimi dati riguardanti le immatricolazioni auto in Italia: -27.5% rispetto allo stesso periodo del 2010.

Non c'è da stupirsi in quanto la situazione è "semplice" da spiegare: nel 2010 (e anche nel 2009) il governo varò gli incentivi auto che "drogarono" il mercato dell'automobile. Quest'anno non sono stati rinnovati (per ora).


L'incentivo, come avevo già detto, è inutile per il semplice fatto che si occupa del BREVE periodo. Il problema italiano è invece di LUNGO periodo (il nostro paese è fermo da anni con i redditi, in proporzione con gli altri paesi, in calo): incentivare un mercato darà solamente un effetto temporaneo che non risolverà i problemi anzi, visto il debito pubblico che abbiamo, ne creerà di nuovi. Ad un boom (neanche sicuro tra l'altro) iniziale corrisponderà una flessione in futuro quando gli incentivi non saranno più attivi.

La cosa, a quanto pare non così scontata (come invece è) ai vertici del governo, si è puntualmente verificata.


venerdì 1 aprile 2011

Investimenti fissi per ridurre la disoccupazione?



Segnalo un post di Taylor in cui sostiene, numeri (grafici) alla mano, che il miglior modo per ridurre la disoccupazione è quello di investire molto.

I grafici mostrati dall'economista sono molto curiosi:





Ora, la disoccupazione è un fenomeno complicato e semplificarlo in questo modo mi pare forse eccessivo (ma io non sono nessuno per criticare Taylor) tuttavia è sicuramente curioso questo collegamento che, dati alla mano, da ragione all'economista.


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