sabato 27 novembre 2010

The Broken Window Fallancy: ecco perchè lo stato non deve offrire troppi posti pubblici









Come 600esimo post ho tenuto questa chicca economica, denominata proprio "The Broken Window Fallancy", che spero possa, tra le altre cose, far tacere un po' di quella gente che crede, ad esempio, negli incidenti stradali come stimolatori di crescita e company.

Che cosa dice questa teoria in pochissime righe?

Prendendo un ragazzino che rompe la finestra, può sembrare che egli faccia un favore alla comunità, in quanto costringerà il proprietario del negozio a spendere soldi per ripararla. Il vetraio, con i soldi guadagnati, si comprerà un vestito, pagando così il commerciante (e lo stilista) i quali potranno spendere più soldi e così via.
A prima vista il ragionamento sembra corretto, ma non lo è. Seguendo infatti questa logica, il ragazzino potrebbe distruggere l'intero palazzo, in questo modo il proprietario spenderà più soldi, facendo arricchire oltre al vetraio anche i muratori. Ma allora buttiamo giù tutti i palazzi, così stimoleremo l'economia in maniera enorme. Ma allora Krugman ha ragione quando dice che ci vorrebbe una guerra mondiale, così da avere uno stimolo, proveniente dai governi (quindi soldi pubblici) per rilanciare l'economia.


L'errore è semplice: riparando la finestra, il proprietario del negozio si impoverisce, e dovrà utilizzare X euro per ripararla. Questi X euro però, gli aveva già prima, e gli avrebbe utilizzati per comprarsi egli stesso un vestito. Spendendo i soldi per la finestra, il vestito non lo comprerà, e sarà più povero.

Andando oltre questo banale esempio: il lavoro pubblico offerto dal governo viene pagato con le tasse dei cittadini (maggiori soldi pubblici spesi equivale a maggiori tasse, e noi in italia lo sappiamo bene), i quali, impoverendosi, non potranno poi spendere questi soldi. Se il governo, al posto di offrire (e quindi spedere soldi e mantere tasse alte) tanti lavori pubblici, abbassasse questa spesa, abbassando le tasse, i cittadini avrebbero più soldi, che spenderebbero in, chessò, frigoriferi, forni, macchine. La conseguenza di tutto ciò è che si creerebbero nuovi posti di lavoro automaticamente, in quanto la domanda di beni è cresciuta, e quegli stessi operai pubblici andrebbero in un settore privato, lavorando, senza però percepire uno stipendio pubblico (quindi non gravando sulle casse dello Stato).


venerdì 26 novembre 2010

Rodari, educazione linguistica, democrazia e internet: intervista a Mario Gamba, Simone Fornara e Dario Corno


Voglio proporvi l'intervista fatta agli autori del libro "I Pipistrelli di Guardalà" Mario Gamba (mio ex professore di storia al liceo) e Simone Fornara (con presenza telefonica del professor Dario Corno) alla RSI (sulla Rete Uno).

Credo sia molto educativa, soprattutto la parte in cui parla del linguaggio, sul significato delle parole e del futuro del cartaceo. Il tutto dura una mezz'oretta...al posto di guardavi qualche programma demenziale, sfruttate questo piccolo lasso di tempo per questa intervista che reputo molto educativa.

Link all'articolo e all'intervista

Cito dal link:

L’intervista è stata un bellissimo momento che difficilmente dimenticheremo. Abbiamo parlato di Rodari, di educazione linguistica, di democrazia, di Internet e di tanto altro ancora, per oltre 30 minuti e senza un attimo di sosta.


giovedì 25 novembre 2010

Berlusconi ha paura: da politco del confronto a politico del monologo



E' un titolo forte, ma credo veritiero: Berlusconi ha paura, ma non della crisi di governo (o meglio, non solo di quella), ma del confronto, e l'ultima telefonata a Ballarò ne è la conferma.

Il premier da 2 anni a questa parte rifiuta di confrontarsi direttamente con i nemici (come li chiama lui), politici di sinistra, giornalisti comunisti, con il popolo che non lo vota.

Mentre prima andava nelle varie trasmissioni (Ballarò, oppure il testa e testa con Prodi pre elezioni), ora si limita a chiamare, fare il suo monologo, ed andarsene, oppure parla, sempre con monologhi, alle varie manifestazioni del PDL.

Non c'è mai un confronto, ed essendo un politico (oltre che premier), dovrebbe invece discutere con il più classico botta e risposta con i suoi colleghi e i giornalisti.

Troppo facile fare il proprio monologo ed andarsene, ed è quello che ho sempre rimproverato (qui e qui ad esempio) a Grillo e Travaglio (anche se quest'ultimo negli ultimi tempi è più propenso al dialogo).

Comportamento che non mi piace proprio, e che sottintende un timore a confrontarsi per il rischio di essere sbugiardato (e non ci vuole tanto in questo caso, e lui lo sa bene).



martedì 23 novembre 2010

Anche Saviano può sbagliare



Posto qui il commento che ho scrittonell'articolo dedicato a Saviano e alla distinzione nord-sud riguardo la mafia sul blog di NFA (titolo "Saviano e il Nord"), che vi consiglio di leggere, soprattutto i commenti dei vari utenti (anche per capire meglio la mia posizione).

(fonte immagine)

L'errore di Saviano è stato quello di mettere sullo stesso piano mafia al nord e mafia al sud.

Il problema, e questo forse nemmeno lui lo sa, è che in questo modo, fa solamente il gioco della mafia, quella vera, che sta al sud.

Lui mi da l'impressione di voler spostare la questione dal Sud al Nord, focalizzandosi su quest'ultimo, dicendo, molto banalmente: "Eh, dite tanto di noi al sud, ma pure lì da voi c'è".

Non mi sono mai piaciuti questi atteggiamenti, e purtroppo non li sento dire solo da Saviano, ma da molto tempo dagli stessi cittadini del sud. Sembra che si voglia nascondere un po' il problema.

La mafia c'è al nord? Credo di sì, ma, come detto giustamente da altri, è un problema diverso: al nord sono dei rami arrivati da Sud, dove invece abbiamo l'albero con le radici, radici MOLTO PROFONDE.

Come tutti sapete, un albero non si uccide potando i rami, ma tagliandolo al tronco...e i rami di conseguenza cadranno con lui.

Saviano, con le sue dichiarazioni, mi pare che punti il dito contro i rami, volendo tagliare solo quelli..dimenticandosi dell'albero da cui provengono.

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domenica 21 novembre 2010

Tassare o no? Il Bivio USA e l'esempio dell'Irlanda sul baratro


Posto qui un articolo che reputo molto interessante preso dal sito dell'IBL (Istituto Bruno Leoni) ripreso anche da Riecho Blog dal titolo:

"Non tasso dunque cresco. Cosa unisce l’America al bivio e l’Irlanda sul baratro"

Ieri il Congresso americano ha aperto la sessione "lame-duck", quella che cade fra le elezioni per il rinnovo delle Camere e il loro effettivo insediamento, all'inizio del 2011. Sono le ultime settimane per la super maggioranza democratica di Capitol Hill bocciata al midterm e i congressmen del partito di Barack Obama hanno preparato un'agenda fitta, nella speranza di portare a casa qualche risultato prima che arrivi l'ondata repubblicana. La discussione fondamentale è sul destino dei tagli fiscali voluti da George W. Bush, in scadenza il 31 dicembre e il Congresso inizierà a discuterne dopo l'incontro dei leader parlamentari con Obama, previsto per giovedì alla Casa Bianca. Sul taglio delle tasse e il suo destino c'è un dibattito agguerrito: a destra l'estensione del provvedimento bushiano è visto come l'unico modo per dare capacità di spesa alle imprese e rilanciare l'economia; i liberal dicono che servirà soltanto a creare altro debito e quindi vanno lasciati scadere senza ulteriori provvedimenti. In mezzo sta Obama, che cerca di convincere le parti ad accettare il compromesso di un'estensione temporanea dei tagli alle tasse, ma non per i più ricchi, cioè chi ha un reddito superiore a 200 mila dollari; per le famiglie la soglia sale a 250 mila dollari. "E' l'errore più grave che Obama possa fare dice al Foglio Dan Mitchell, analista del Cato Institute - perché quelli che sono considerati ricchi dal sistema fiscale sono esattamente quelli che generano posti di lavoro. Non solo l'estensione dei tagli fiscali è fondamentale, ma l'economia ha bisogno che il provvedimento diventi permanente e si consolidi in una flat tax semplice ed equa. Il debito si contiene tagliando la spesa, non aumentando le tasse. Le elezioni di midterm hanno mostrato che la gente è delusa dalla politica economica dei democratici e se il presidente metterà il veto sui tagli fiscali vorrà dire che non gli interessa molto degli americani". Anche al Center for American Progress, il think tank democratico diretto da John Podesta, si concede qualche credito all'estensione dei tagli fiscali, ma non per i più ricchi: "Estendere temporaneamente i tagli ha senso in questo momento - dice il vicedirettore della sezione economica, Michael Ettlinger - ma la middle class ha subito la recessione e sarà la middle class a risollevare l'economia. Quello di cui veramente non c'è bisogno è dare un bonus a quel due per cento della popolazione che ha reddito più alto". Alan Viard, analista del conservatore American Enterprise Institute, ci spiega che "la soluzione di compromesso che proporrà Obama al Congresso contiene il peggio dei mondi che tenta di conciliare: da una parte aumenterà il deficit, dall'altra avrà un pessimo impatto sulla crescita. Estendere gli incentivi fiscali soltanto alla middle class deprime l'economia. La soluzione più realista sarebbe estendere non tutto il pacchetto di tagli firmato durante l'Amministrazione Bush, ma accontentarsi di alcune parti: l'importante è che i tagli siano per tutti, altrimenti gli investimenti rimarranno bloccati". Per una soluzione di compromesso è anche l'ex capo dell'ufficio Budget della Casa Bianca, Peter Orszag, secondo cui "nel medio termine i tagli fiscali non sono sostenibili", ma lasciarli scadere "peggiorerà la situazione già stagnante dell'occupazione". La proposta è rinnovarli per due anni, il tempo necessario per la ripresa dell'economia, e poi ritornare alla pressione fiscale dell'era pre Bush. Il dibattito sui tagli fiscali eccede i limiti della contingenza politica e ha a che fare con la visione che l'America ha della politica economica. Le elezioni di midterm hanno sancito l'insofferenza del paese per gli eccessi della spesa, ma il timore è che Obama voglia contenere il debito imponendo nuove tasse (o lasciando che i tagli fiscali in vigore si estinguano). Prolungare l'assetto voluto da Bush con l'esclusione dei più ricchi rischia di essere una mossa economicamente miope per un governo che punta sulla cartolarizzazione del debito e non vede ancora segnali positivi arrivare dal mercato del lavoro. Sul tema si scontrerà il "vecchio" Congresso, già influenzato dall'assetto deciso il 2 novembre. Nancy Pelosi ha fatto una timida apertura al rinnovo del provvedimento di Bush, ma è stata bacchettata da sinistra; il nuovo speaker della Camera, John Boehner, prima delle elezioni si era detto disponibile a discutere del compromesso di Obama. La vittoria repubblicana ha cambiato gli equilibri e i tagli fiscali sono l'arena in cui mostrare chi ha le carte più alte. I ministri dell'Eurozona, riuniti oggi a Bruxelles, rinnoveranno probabilmente l'invito già fatto nel fine settimana all'Irlanda affinché il paese accetti l'intervento del Fondo europeo anticrisi. Quella del "salvataggio" è l'unica strada - sostengono esponenti autorevoli della Commissione e della Banca centrale europea, cui s'aggiunge pubblicamente uno stato interessato come il Portogallo - per evitare l'effetto contagio sui debiti sovrani del continente. E pensare che nemmeno dieci anni fa, quando a Bruxelles ci si riuniva per parlare di Irlanda, il paese finiva regolarmente sul banco degli imputati per tutt'altro motivo: non perché rischiasse di far affondare con il suo fallimento la moneta unica, ma piuttosto perché accusato di correre troppo rispetto agli altri stati membri. La "tigre celtica", come la chiamò per primo l'analista Kevin Gardiner nel 1994, non di rado era bacchettata per il suo presunto "dumping fiscale": per crescere a ritmi asiatici in un continente affetto da sclerosi, infatti, i governi di Dublino pensarono di creare una sorta di "riserva naturale" per le forze del libero mercato. All'interno dell'oasi freemarket, per esempio, l'aliquota sulle società era (ed è) al 12,5 per cento, ovvero la metà della media europea. Risultato: "Mentre alla fine degli anni Ottanta il reddito pro capite in Irlanda era pari alla metà della media europea - ricorda al Foglio Francesco Giavazzi, professore di Economia all'Università Bocconi - dopo vent'anni gli irlandesi sono arrivati in vetta alla classifica del continente". Prima di mettere la croce su tutte le scelte di politica economica compiute dall'ex tigre celtica, dunque, "sarebbe meglio osservare l'attualità con una prospettiva di più lungo termine", osserva Giavazzi. D'accordo Carlo Stagnaro, direttore del dipartimento Studi e ricerche dell'Istituto Bruno Leoni, think tank liberista: "Se anche il Pil continuasse a calare, come avviene d'altronde dal 2008, essendo stata l'Irlanda il primo paese europeo a entrare ufficialmente in recessione nel settembre di due anni fa, è difficile che si torni ai livelli di ricchezza, o meglio di povertà, di venti anni fa". Su una linea di pensiero simile anche l'economista Mario Seminerio: "Il fatto che pure questo paese sia caduto nella trappola del `denaro facile' non può far dimenticare il resto - dice al Foglio - innanzitutto la capacità di utilizzare al meglio i fondi europei per far partire la crescita, poi la capacità di mantenere questi ritmi grazie a un fisco leggero e una forza lavoro giovane e qualificata". "La situazione di Dublino va assolutamente distinta da quella di Atene - ci tiene poi a precisare Giavazzi - In Grecia i troppi soldi pubblici, provenienti anche dall'Unione europea, non hanno offerto un incentivo al cambiamento, e quando questi aiuti sono venuti meno è scoppiata la crisi. L'Irlanda invece negli stessi anni ha visto aumentare la produttività della sua forza lavoro; quella attuale è una tipica bolla che colpisce di tanto in tanto le economie capitalistiche che crescono. 0 forse preferiamo un modello economico a crescita perennemente anemica?". Ieri però i credit default swapsul debito irlandese - ovvero il costo per assicurarsi da un eventuale fallimento del paese, dopo aver abbandonando il livello record di 599 punti, sono tornati a 518, un valore comunque alto. Serve una decisione "chiara", ha detto Ewald Nowotny, del consiglio direttivo della Bce: il netto aumento degli spread dei titoli irlandesi, portoghesi e greci rispetto ai bund tedeschi "non è salutare". Bruxelles si è detta "pronta" a intervenire, "se ciò verrà richiesto e si renderà effettivamente necessario". Finora l'Irlanda ha fatto bene a rifiutare l'intervento europeo - osserva Stagnaro - anche perché Bruxelles ha posto tra le condizioni la necessità di aumentare le tasse nel paese. E' un ricatto che rischia solo di mettere un'ipoteca sulle future prospettive di crescita. D'altronde però Dublino, salvando le banche, non ha fatto altro che trasformare il debito privato in debito pubblico. La situazione non è migliorata: ora non c'è più una banca da salvare, ma uno stato". Più cauto Giavazzi: "Ho imparato la lezione - dice - il fallimento di Lehman fu una delle cause che ha precipitato il mondo nella recessione. Lehman insegna che oggi, nei confronti dell'Irlanda, il rigore che si dovrebbe invocare in base alla razionalità-liberista non possiamo permettercelo: il costo potrebbe essere la fine dell'euro". Per il futuro, infine, se si vorrà ancora utilizzare l'utile ricetta pro crescita tentata a Dublino, questa andrà affiancata da meccanismi correttivi: "Per esempio scegliendo di monitorare, tra i tanti parametri possibili, la crescita del credito totale interno dei singoli paesi e non solo quello aggregato dell'Europa. In alcuni paesi, tra cui l'Irlanda, il credito concesso dalle banche era esploso negli ultimi anni. Ciò non è per forza un male, ma monitorandolo si sarebbe potuto evitare che questo credito andasse a gonfiare la bolla immobiliare".



Da Il Foglio, 16 novembre 2010




sabato 20 novembre 2010

Facebook è così deleterio al lavoro?




In molti posti di lavoro (e anche in molte università come ho già documentato prendendo come esempio la mia) è stato bloccato l'accesso a Facebook (ed a molti altri social networks e siti simili) a causa del troppo utilizzo fatto dai dipendenti (e studenti) durante le ore di lavoro, il che porterebbe ad un minor rendimento (o produttività, mi piace di più) dei dipendenti stessi. Le conseguenze sono ovviamente dei costi inutili per le imprese (perchè dovrei pagare una persona se questa lavora meno e chatta di più?) e un danno in termini di produzione di beni o servizi che ricade sull'impresa e sui clienti della stessa. Insomma, costi inutili e minor ricavi.

Queste sono in soldoni le ragioni dei capi, ma le cose stanno veramente così?

Secondo uno studio australiano no, anzi, Facebook migliorerebbe le prestazioni sul lavoro (a patto di non esagerare). Anche Panorama aveva scritto un articolo su questo argomento.
Per rispondere, in queste ultime settimane ho provato io stesso a verificarlo su un lavoro che sto facendo per l'altro blog: dovevo ricopiare sul sito (rielaborando) gli appunti di diritto dei contratti d'impresa (che andrà online però nei prossimi mesi), commerciale(quindi di una materia in cui bisogna scrivere molto, senza ragionare molto) e di ragioneria (materia in cui bisogna scrivere meno, ma ragionare molto di più, con anche degli esempi speigandoli), una volta con aperto Facebook e un'altra con invece Facebook chiuso (in alcuni casi avevo Youtube aperto e non è cambiato molto dalle volte in cui era chiuso) e poi contavo le pagine dopo un'ora esatta di lavoro.


I risultati sono stati molto interessanti:

  • Per i primi due diritti, con Facebook aperto ho ricopiato in media 3-4 pagine (a volte arrivavo alle 5-6, quando non chattavo o chattavo solo per qualche minuto) , mentre con Facebook chiuso arrivavo alle 5-6 pagine in 30 minuti scarsi, per un totale di 10-12 (con punte di 15) in un'ora
  • Per ragioneria le pagine erano molto meno e più corte, quindi come quantità non ho notato molta differenza (ci mettevo 5-8 minuti meno senza Facebook)

La diffenza non è solo la quantità, ma anche la qualità: se per i due diritti gli errori (grammaticali) erano meno preoccupanti, per la parte di ragioneria quando l'ammortamento di un macchiario o il calcolo delle rimanenze viene sbagliato, la situazione è più grave. A tutto questo unisco anche il fatto del capire e memorizzare meno rispetto a condizioni normali.

Facebook, oltre a far perdere tempo e ritmo, deconcentra andando a peggiorare anche la qualità del lavoro.

A questo aggiungo poi che, mentre io ero in stanza da solo, in un posto di lavoro si ha la distrazione degli altri colleghi (come è normale che sia), che quindi va ad unirsi a quella di Facebook rendendo le cose peggiori.

Curioso il fatto che, nella mia università, mentre con Facebook accessibile le due aule di informatica erano sempre piene, ora sono deserte oppure sono frequentate da ragazzi che utilizzano la rete per cercare informazioni utili e/o studiare, cosa che prima non potevano fare.

Concludendo, per ciò che ho provato io, i capi hanno tutte le ragioni per vietare certi siti (dai diciamolo...vietare Facebook) durante l'orario di lavoro, se però siete come drogati e ci state per ore (come credo in molti di voi fate, a quanto vedo). Potreste utilizzare, a vostro rischio e pericolo, il cellulare oppure un portatilino solamente nelle pause, concluso il lavoro che stavate svolgendo (mentre attendete il vostro prossimo incarico).

Aggiornamento: mi sono arrivate su Facebook alcune testimonianze (di dipendenti) che confermano la mia tesi alla rovescia: togliere Facebook ha incrementato il lavoro


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lunedì 15 novembre 2010

I creditori del debito sono gli unici che ci potranno salvare


Visti gli ultimi eventi, direi che oramai siamo in clima pre elettorale, con tutto ciò che questo comporta: in televisione si inizia a discutere di simil programmi elettorali nel caso il tal partito vinca le elezioni, di simil riforme che l'Italia necessita per uscire dall crisi (alcuni dicevano che ne eravamo usciti già 2 anni fa, com'è che ora sempre gli stessi ne parlano?) e così via, mentre su internet, nei bar e nei luoghi di incontro (anche nelle palestre a quanto vedo) la gente discute su chi votare, su chi è migliore e su chi ci porterà fuori da questa situazione.

Uomini, donne, è inutile che discutete: NESSUNO degli attuali politici è in grado di portarci fuori, vuoi per totale incompetenza, vuoi perchè le riforme da fare sono impopolari o perchè andrebbero a danneggiarli economicamente.

Gli unici in grado di farci uscire da questa crisi, da questo immobilismo che da 10 anni o più è presente in Italia sono solamente i nostri creditori, ovvero quelli che detengono l'enorme debito pubblico.

Dai dati sappiamo che i detentori non domestici del nostro debito pubblico sono il 52,8% del totale, quindi più della metà (fonte), quindi il nostro futuro dipende da loro.

Il creditore avrà nel suo interesse quello di non far fallire (se è furbo) il debitore ma anzi, vorrà metterlo nelle condizioni di pagare il debito. Come si dice: il miglior amico del debitore è il creditore stesso, ed il miglior amico del creditore è il debitore stesso. Entrambi hanno interesse che il debitore stia bene, ed è per questo motivo che loro sono la nostra unica ancora di salvezza.

Probabilmente (spero a questo punto), i nostri creditori metteranno (sotto forma di "governo tecnico") un uomo capace di loro fiducia, visto che noi italiani non siamo in grado di eleggere uomini capaci, che farà le riforme necessarie e ci porterà fuori da questa situazione imbarazzante, per il loro e quindi per il nostro bene.



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domenica 14 novembre 2010

Il falso miracolo del Nord Dakota












Su internet si discute molto del miracolo del Nord Dakota, uno stato che, secondo alcuni, ha fatto la sua fortuna grazie alla non adesione al Federal Reserve System ovvero al circuito finanziario imperniato sulla Fed, la Banca centrale americana.
Fonte di tutto ciò è un articolo apparso su "Il Giornale" scritto da Marcello Foa dal titolo: "Nord Dakota, il miracolo fatto in casa".

Premesso che non metto in dubbio che questo sia uno stato virtuoso anche grazie alla sua banca, vorrei però contraddire, come ho già fatto anche nell'articolo del suo blog dal titolo più provocatorio "Vivere felici in barba agli economisti" (quando verrà pubblicato il commento), senza considerare che anche gli artefici di questo "miracolo" sono economisti pure loro.

Prima di tutto, la Bank of North Dakota è una banca commerciale come si legge sul sito della stessa, e non fa parte della FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) in contrasto con la maggior parte delle banche commerciali (In contrast to most commercial banks, Bank of North Dakota is not a member of the Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC)).

Nell'articolo invece c'è scritto che non fa parte della Federal Reserve System, che è diverso e pure sbagliato: il Nord Dakota infatti fa parte del distretto 9 della FED di Minneapolis, come si legge nel sito della stessa: "The Minneapolis Fed, with one branch in Helena, Montana, serves the six states of the Ninth Federal Reserve District: Minnesota, Montana, North and South Dakota, 26 counties in northwestern Wisconsin and the Upper Peninsula of Michigan."

Il Nord Dakota poi utilizza come moneta i dollari come gli altri stati nella forma dei Federal reserve notes, quindi aderisce al Federal Reserve System.


Detto questo, non so come si possa confrontare un'economia principalmente agricola, con una superficie di circa 180 mila kmq e 650 mila abitanti, con uno stato come l'Italia, in cui la sola Milano ha il doppio dei cittadini, in una superficie mille volte più piccola, solo il giornalista lo sa...

Le interpretazioni economiche del giornalismo italiano non finiscono mai di stupirmi..



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venerdì 12 novembre 2010

Codice della Vita Italiana di Prezzolini


Leggetelo. Scritto nel 1921, è mostruosamente attuale, vista la situazione politico-berlusconiana che c'è in Italia. Sembra veramente la descrizione di Berlusconi & Friends, dei beoti che lo votano credendo a tutto ciò che dice, e degli altri, che cercano di denunciare i fatti reali, a non vengono ascoltati. Ah, giusto per, lo sottoscrivo in pieno.



Capitolo I. - Dei furbi e dei fessi

1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.

2. Non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.

3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.

4. Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui.

5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.

6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.

7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.

8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.

9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.

10. L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.

11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.

12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.

13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.

14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.

15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.

16. L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente - che non si trova nei libri - insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.

Capitolo II. - Della Giustizia

17. In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l'ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del Partito Rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso. La situazione sarebbe intollerabile se dopo cinque anni, essendo salito al potere il Sindaco (c.s.) del Partito Nero, questi facesse le cose giustamente.

E' chiaro che lascerebbe almeno una metà dell'ingiustizia antecedente. Perciò il Sindaco (c.s.) del partito nero fa tutto il rovescio dell'altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso.

Così l'ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente.

18. Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. E' invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc. La cosa si può trovare: l'indirizzo è sbagliato.

19. In Italia non si può ottenere nulla per le vie legali, nemmeno le cose legali. Anche queste si hanno per via illecita: favore, raccomandazione, pressione, ricatto ecc.

Capitolo III. - Del Governo e della Monarchia

20. L'Italia non è, democratica nè aristocratica. E' anarchica.

21. Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.

22. In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.

23. In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono.

24. Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.

Ciò corrisponde al carattere italiano che subisce le grosse ingiustizie, ma è intollerantissimo per le piccole.

25. L'Italiano non dice mai bene di quello che fa il Governo, anche se è fatto bene; però non c'è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il Governo non pensa a tutto.

26. I ministri non sono scelti perché persone competenti nell'agricoltura, nei lavori pubblici, nelle finanze, nelle poste e telegrafi, bensì perché piemontesi, liguri, lombardi, toscani, siciliani, abruzzesi, o perché appartenenti al gruppo a, b, c. Si è ministri non per quel che si è fatto, ma per il dialetto che si capisce, per il gergo parlamentare che si parla. Questo deriva in gran parte dal concetto della ingiustizia distribuita (cap. II).

27. Il valore degli incarichi non corrisponde sempre alla realtà. Molto spesso il piantone conta più del colonnello, l'usciere ne sa più del ministro, il segretario può quello che il cardinale non osa, e così via. Nelle piazze e nei salotti la conoscenza di questo " annuario segreto " delle potenze, forma uno dei punti indispensabili per poter fare carriera. Rivolgersi al principale senza passare per la succursale, è uno dei più comuni errori di tutti i novizi della vita italiana.

28. L'autorità del grado non conta. L'italiano non si inchina davanti al berretto. Nulla lo indispone più dell'uniforme. Ma obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.

29. L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.

30. La Monarchia resiste in quanto non esiste. I repubblicani non esistono in quanto non esiste l'oggetto della loro lotta. Non si può combattere un Re che non è meno noioso di un presidente di repubblica, poiché non crea nemmeno la difficoltà di farsi eleggere.

31. Il Re ha rinunciato ai diritti che esercitava, e non esercita più quelli che gli son rimasti.

32. La piazza è il vero Governo italiano, che decide la guerra o fa cessare lo sciopero dei tranvieri. Da parecchi anni impiegati, produttori. operai, e ormai anche militari, sanno che non si ottiene nulla dal governo, " se non si scende in piazza ". Forse è per questo che siamo i discendenti dei Romani, che decidevano le questioni politiche nel Foro.

Capitolo IV. - Della geografia politica

33. L'Italia si divide in due parti: una europea che arriva all'incirca a Roma, e una africana o balcanica, che va da Roma in giù. L'Italia africana o balcanica è la colonia dell'Italia Europea.

Capitolo V. - Della famiglia

34. In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra (quando può).

35. La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si può uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.

36. La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.

37. I figli sono proprietà del padre. Devono fare onore, non a se stessi, ma al padre.

Capitolo VI. - Delle leggi

38. In Italia nove decimi delle relazioni sociali e politiche non sono regolate da leggi, contratti o parole date. Si fondano sopra accomodamenti pratici ai quali si arriva mediante qualche discorso vago. una strizzatina d'occhio e il tacito lasciar fare fino a un certo punto. Questo genere di relazioni si chiama compromesso. Non ci sono mai situazioni nette tra marito e moglie, tra compratore e venditore, tra governo e opposizione, tra ladri e pubblica sicurezza, tra Quirinale e Vaticano.

39. Tutto ciò che è proibito per ragioni pubbliche si può fare quando non osta un interesse privato. Nei vagoni dove è proibito fumare tutti fumano finché uno non protesta.

40. In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.

41. La mancia è la più grande istituzione tacita d'Italia, dove gli usi contano più delle leggi, e le consuetudini più dei regolamenti. Per far procedere una pratica come per ottenere un vagone. per avere notizia di una sentenza. come per far scaricare un piroscafo, occorre sempre la mancia. Il modo di darla è variabile ed esige un noviziato non breve, una conoscenza della graduatoria sociale e dei sistemi in uso. Essa va dal volgare gruzzoletto posto nella mano dell'autorità da commuovere, e dalla bottiglia fatta stappare in onore dell'affare che si conclude, fino alla " bustarella ", in uso negli uffici di Roma ed ai contratti tariffati degli agenti ferroviari del settentrione. o al vezzo di perle per la signora e la compartecipazione ad un'emissione di azioni per il grosso affarista o giornalista.

42. La pena di morte non è abolita in Italia. Essa colpisce, in generale, gli innocenti che si trovano a passare sotto la traiettoria dei moschetti della Regia Guardia o dei Reali Carabinieri, oppure nel cerchio delle bombe a mano lanciate da socialisti o da fascisti.

Capitolo VII. - Delle Ferrovie

43. In Italia si viaggia gratis in prima classe; con riduzione, in seconda. In terza si paga la tariffa intera, proporzionalmente più alta di quella che pagherebbero le altre classi, se le altre la pagassero mai interamente.

Capitolo VIII. - Dell'ideale

44. C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.

45. La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? E' fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioé un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.

Capitolo IX. - Del guadagno

46. In generale in Italia nessuna professione è sufficiente per vivere, da sola. Perciò si vede l'insegnante che fa anche il giornalista; l'impiegato che fa il rappresentante di case commerciali; il ragioniere dello Stato che va a curare la sera aziende private; il giornalista che scrive commedie. Un solo impiego non basta a sbarcare il lunario. Con due ci si riesce. Con tre si vive bene. Bisogna essere furbi per averne quattro. Se fra questi ve n'è uno almeno da trascurare, la preferenza vien fatta a quello dello Stato, in base al principio che segue.

Capitolo X. - Della proprietà collettiva

47. La roba di tutti (uffici. mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.

Capitolo XI. - Dell'Italia e degli Italiani

48. L'Italia è il giardino del mondo. L'Italia è un paese naturalmente povero, senza carbone, con poco ferro, molto scoglio, per tre quarti malarico e troppo popoloso. Esso dipende e dipenderà sempre economicamente dagli stranieri. L'indipendenza dell'Italia è il mito più infondato e dannoso che un italiano possa nutrire. C'è una sola consolazione: che nessun paese è economicamente indipendente.

49. L'italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo: mani vuote, ma sporche.

50. I veri italiani sono pochissimi. La maggior parte di coloro che si fanno passare per italiani, sono in realtà piemontesi, toscani, veneti, siciliani, abruzzesi, calabresi, pugliesi e via dicendo. Appena fuori d'Italia, l'italiano torna ad essere quello che è: piemontese, toscano veneto ecc. L'italiano sarà un prodotto dell'Italia, mentre l'Italia doveva essere un prodotto degli italiani.

51. L'ammirazione degli stranieri per tutte quelle cose che ci urtano nella vita italiana (il lazzaronismo, l'indisciplina, il sentimentalismo, la musica da serenate, la statueria ecc.), indica che in tutti questi difetti c'è qualche cosa di gradevole e di simpatico. Ma per chi va a fondo delle cose, vede che si tratta di una permanente insidia al carattere italiano, già inclinato a ciò che è più gradevole, ma meno pericoloso per gli stranieri. Essi vedono volentieri gli italiani prendere il mandolino in mano e far serenate alla luna, e li carezzano gettando un obolo, con la simpatia e il disprezzo che si ha per una cortigiana, o la sottintesa superiorità che si mostra verso un cagnolino.

52. Se per ingegno si intende la facilità nelle cose facili, l'arte di esprimersi con abbondanza, la capacità di intendersi senza troppo precisare. la vernice di tutti i talenti esterni. il canto piacevole, la poesia sonora, l'arrivare d'un colpo a comprendere le cose senza sforzarsi, dopo, di compiere un passo più avanti per approfondirsi in ciò che si è imparato, l'italiano è un popolo intelligente. Se per ingegno si intende invece ...

53. Il perfetto italiano giudica l'ingrandimento dell'Italia dell'allargamento chilometrico, la grandezza dei quadri dalla superficie della tela, la bellezza della poesia dalla sonorità delle rime e quella delle donne dalla quantità della ciccia. Il buffo è che molti di questi valori plastici sono entrati anche nella zucca degli stranieri, che ammirano il nostro parlar sonoro, le nostre donne carnose, i quadroni dal Rinascimento in poi, e qualche volta anche l'aumento dei chilometri quadrati.

54. La storia d'Italia è la storia di Spagna e di Francia, d'Alemagna e d'Austria, e in fondo, storia d'Europa. Lo sforzo degli storici per creare una storia d'Italia dimostra come si possa spendere molto ingegno per una causa poco ingegnosa, come accade a quei capitani che si fanno valorosamente ammazzare per una causa infame.

55. L'Italiano è di tanto inferiore al giudizio che porta di se stesso di quanto è superiore al giudizio che ne danno gli stranieri. Le sue qualità migliori sono le ignorate e i suoi difetti peggiori sono i pubblicati da tutta la fama.

56. La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l'internazionale.

57. Alcune massime e parole italiane hanno una origine dialettale e regionale, che significa che una qualità particolare d'una data gente s’è andata allargando a tutta l'Italia. Per esempio : tira a campà è massima eminentemente romana; non ti compromettere è precetto squisitamente toscano; fare fesso è pratica particolarmente meridionale; però tutti gli italiani ormai le capiscono e i furbi le hanno adottate come regola di vita sociale.

58 Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.

59 Tutto è in ritardo in ritardo in Italia, quando si tratta di iniziare un lavoro. Tutto è in anticipo quando si tratta di smetterlo.

60 Non è vero che l'Italia sia un paese disorganizzato. Bisogna intendersi : qui la forma di organizzazione è la camorra. Il Partito come la religione, la vita comunale come la economica prendono inevitabilmente questo aspetto. Non manca disciplina ma è la disciplina propria della camorra, l'ultra disciplina che va dal fas al nefas.

61. Tutti i principali difetti degli italiani, e soprattutto i più vergognosi : la mancanza di parola, il servilismo, l’individualismo esagerato, l’abitudine dei piccolo inganno e della corruzione, derivano dalla povertà italiana, come la sporcizia di tanti loro paesi dalla mancanza di acqua. Quando in Italia correrà più denaro vero e più acqua pulita, la redenzione d'Italia sarà in buona parte compiuta.

Capitolo XlI - Senza titolo riassuntivo indispensabile

62. L'Italia è una speranza storica che si va facendo realtà.

Giuseppe Prezzolini

Codice della vita italiana
Firenze, 1921


Vi consiglio poi di leggere pure questo articolo, spero illuminante per qualcuno....dei fessi...che essendo fesso, non lo troverà illumante ma vabbè, tentar non nuoce.


martedì 9 novembre 2010

Il non rispetto delle regole non si combatte con più regole





Scrivo giusto un mini post, una considerazione mia personale, su questo fatto: in Italia mi sembra che (magari poi è una sensazione), si cerchi di far rispettare le regole, mettendone delle altre, che facciano rispettare quelle precedenti in vari modi, ad esempio aggiungendo un passaggio intermedio, oppure con vincoli, permessi e a volte controlli da parte di più enti.

Io non credo che questa sia la soluzione ai nostri problemi, anzi, mi sa proprio che sia una delle cause di tutto questo immobilismo e di tutti questi problemi di messa in regola degli edifici, strade e company.

Un esempio è quello che è successo in Veneto, per cui vi invito a dare un'occhiata a questo articolo.

L'apparato burocratico italiano è forse il più complicato al mondo, e i risultati non sono buoni, anzi: evasione, alluvioni, crolli sono oramai eventi settimanali.

Le regole ci vogliono, ma se sono troppe, diventa impossibile farle rispettare tutte, e il rischio (reale a questo punto) è che vengano tralasciate le più importanti.





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sabato 6 novembre 2010

Se Brunetta insegnava politica economica così, siamo belli che fritti

Ho parlato qualche giorno fa della gaffe più o meno volontaria (per inciso, credo che abbiano fatto apposta a dire una corbelleria del genere) della giornalista di Studio Aperto. Fosse l'unica si potrebbe ridere e basta, ma abbiamo un'altra persona che è caduta sulla questione PIL-crescita, questa volta si tratta però di un ministro, che per giunta ha insegnato fino all'anno scorso Economia Politica (professore ordinario) in diverse università (l'ultima a Tor Vegata).

Un economista che afferma una cosa del genere dovrebbe essere quantomeno screditato da tutti i suoi colleghi, lasciare la cattedra per demerito e soprattutto dimettersi da un ministero perchè qualunque alunno semi-sveglio di economia dopo un anno (se non già al 4-5° anno di ragioneria) lo mangerebbe vivo.

Brunetta ha affermato (dal sito del Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione):

l'Italia non va bene sta crescendo a 0, cioè non cresce; ma crescere a 0 vuol dire che si sta crescendo come l'anno scorso che è stato un anno buono, con crescita all'1,8%

Ministro, mi dispiace, ma crescere a 0 vuol dire proprio crescere a 0, cioè non crescere, quindi rimanere uguale a prima, e non crescere sempre del 1,8%. Capisco perchè l'Italia va male...questi credevano che cresce di 0,0.8 fosse cosa buona...mah...


Anche sulla frase precedente (Europa che cresce fra l'1% e l'1.5%) avrei da ridire, guardando i dati Eurostat, però tralasciamo.

Non immagino la preparazione degli studenti avuti dal ministro...sinceramente spero che pure questa sia mera e bassa propaganda, sennò siamo pieni di economisti che pensano che crescere a zero, voglia dire sempre "crescere"...

giovedì 4 novembre 2010

Telegiornale di regime....o semplicemente ignoranza?





Come direbbero gli americani: OH MY GOD!!!!!!!!!!!!!!


Spero non abbiate bisogno del perchè sia una grande s*******a...-5+1 = -4, tanto per...

Ora...domanda da cento milioni di euro: propaganda politica, oppure ignoranza totale? A voi l'ardua sentenza

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martedì 2 novembre 2010

Oggi è il giorno dei morti ... Festa nazionale del PD.

Oggi è il giorno dei morti ... Festa nazionale del PD.





Quando Sergio ha scritto questa frase non potevo non metterla qui! Grande Sergio (e grazie per avermela fatta postare)

lunedì 1 novembre 2010

Minetti: come guadagnare 10000 euro al mese facendo il nulla



Di Nicole Minetti se ne sono dette tante, soprattutto in questi ultimi giorni a causa dello scandalo Ruby.

A me che sia andata a prenderla in questura non me ne frega molto, cavoli suoi....mi interessa però il perchè venga pagata circa 10000 euro al mese, per aver, oltre questo favore per il nostro Premier Latin Lover, relazionato un piano triennale per la prevenzione del randagismo ed il controllo demografico della popolazione animale (relatrice Nicole Minetti, PdL). Iniziativa lodevole (la seconda eh!), però l'avrei fatta pure io, anche solo per 500-1000 euro.
Altro ha fatto zero, ma proprio zero, come è documentato da Polisblog in un post dal titolo mai più azzeccato:
"Nicole Minetti: sulla classe dirigente del nulla allevata da Silvio Berlusconi"

Non sono contro alle gnocche (linguaggio Berlusconiano) in politica, però devono lavorare come tutte le loro colleghe più simili a Rosy Bindi.
Siccome poi non è l'unica a quanto pare, come già riportato dal sito Giornalettismo qualche tempo fa sulle deputate belle ma sfaticate (Titolo: "Papi Silvio e quelle deputate belle e sfaticate"), mi pare che, in tempi poi di crisi, buttar via soldi pubblici, per gente fannullona, pagata quindi con le tasse degli italiani, sia sbagliato.

Voglio concludere dicendo che, e ve lo assicuro, di ragazze, BELLE, veramente BELLE, nel PDL ce ne sono, e lavorano, pure tanto, senza prendere neanche 1/5 (quando va bene) delle varie Minetti & Company, quindi vediamo di premiare loro, e non solo chi vuole il Premier.



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31 ottobre: c'era una volta la giornata mondiale del risparmio






Ogni tanto sarebbe bene anche ricordare, oltre alle tradizioni straniere, anche le nostre, nonostante siano più recenti, come la "Giornata Mondiale del Risparmio" (o Giorno del Risparmio)...e di questi tempi sarebbe stata anche molto utile.

il 31 ottobre, giorno di chiusura del Congresso, sarebbe stato dichiarato in tutti i Paesi "giorno del risparmio": non giorno di ozio, ma di lavoro e condotta ispirati all'ideale del risparmio ed inteso a diffonderne con l'esempio, con la parola e con l'immagine, i principii.


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