"l'8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia) le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni di protesta che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia»."E' con questo stesso spirito che dovrebbero festeggiare la loro giornata, sia in quanto donne sia in quanto lavoratrici.
Si parla giustamente delle violenze, dei maltrattamenti e del fatto che purtroppo la violenza sulle donne sia diventata tema ricorrente nei fatti di cronaca dei TG, senza dimenticare tutti gli altri casi silenziosi, non denunciati per paura di ripercussioni, vendette a causa di uno Stato che non condanna duramente quando deve e non protegge di ha il coraggio di denunciare.
Accanto a ciò però, le operaie di una volta, impiegate e in carriera di oggi devono protestare contro le disparità di trattamento e di stipendio al lavoro. Siamo in un'Europa in cui le donne devono lavorare 59 giorni in più per guadagnare tanto quanto un uomo. Il divario retributivo medio si è attestato nel 2010 a 16.2%, in calo rispetto al 17% e più degli anni precedenti ma sempre troppo ampio. (fonte dati).
L’obiettivo della Strategia Europa 2020 è quello di portare il tasso di occupazione femminile al 75%. Alcune aziende si stanno già muovendo:
- la società editoriale tedesca Axel Springer AG ha varato nel 2010 il programma “Chancen: gleich!” (Stesse opportunità!) con l’obiettivo di portare al 30% la percentuale di donne con posizioni dirigenziali nell’arco di 5-8 anni;
- la Kleemann Hellas SA, impresa greca che fabbrica ascensori, intende aumentare il numero di donne addette ai servizi vendita e assistenza tecnica, rompendo gli stereotipi e riducendo la segregazione di genere. Il progetto “Diversità e uguaglianza di genere” ha permesso di portare la presenza femminile nel dipartimento vendite dal 5% del 2004 al 30% nel 2012;
- in Lituania, la compagnia di telefonia mobile Omnitel ha realizzato il progetto “Creare un ambiente di lavoro favorevole alle famiglie” che intende rendere l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata parte integrante della cultura organizzativa dell’impresa dando al personale la possibilità di lavorare in modo flessibile. Il progetto ha fatto salire la percentuale di donne manager nell’impresa;
- in Germania, il “German Women’s Leadership Council” dell’IBM incoraggia le donne a intraprendere una carriera nel settore delle telecomunicazioni fornendo un tutoraggio personalizzato e a distanza alle studentesse nelle scuole e offrendo un tutoraggio anche alle colleghe più giovani che si avviano ad una carriera specialistica o manageriale.
Circa il 70% dei responsabili degli uffici stampa delle aziende è rappresentato da donne, e una presenza femminile quasi analoga si registra tra i direttori (o meglio le direttrici) dell'area della comunicazione.
E' quanto emerge dalla previsione per il 2012 (ma datata 2007) di Censis Servizi, previsione che sembra per il momento essere stata rispettata. Nel nostro Paese infatti le aree Comunicazione e Ufficio Stampa si caratterizzano per una netta predominanza di donne, le quali stanno lentamente accrescendo anche la percentuale di dipendenti-donne totale, stimata intorno al 50% [Istat 2010]. Pari opportunità dunque? Non proprio. Dagli anni '60 ad oggi, la percentuale di donne professioniste nel mondo delle Pubbliche Relazioni (iscritte alla Ferpi, Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) è passata dal 15 al 57%.
Il problema è che se le donne risultano essere molto numerose alla base, non lo sono altrettanto ai vertici aziendali, se escludiamo, ovviamente, quelle aree strategiche che riguardano la comunicazione. Nei settori finanziari e nelle risorse umane infatti, a prevalere sono ancora gli uomini, così come nella direzione generale; qualche passo in avanti è stato fatto nel campo del marketing, nel quale quasi il 50% degli addetti è rappresentato da donne, ma la strada per arrivare alla parità con gli uomini è ancora lunga.
Se si pensa che in Italia solo il 4% di top manager è di sesso femminile (contro il 41% della Norvegia), secondo un reportage realizzato dal Wall Street Journal a fine 2010, è facile capire come non si possa parlare di pari opportunità.
E questo è solo un esempio, fra l'altro dei più postivi. In Italia infatti la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane tra le più basse d'Europa:
Lo afferma Confartigianato, sottolinenado che il tasso di inattività delle donne nel nostro Paese è del 48,9%, a fronte della media europea del 35,5%. Peggio dell'Italia fa soltanto Malta. Il dato emerge dall'Osservatorio sull'imprenditoria femminile curato dall'Ufficio studi di Confartigianato. Secondo l'associazione, "siamo in ritardo di 23 anni rispetto all'Europa" perché il nostro attuale tasso di inattività delle donne è uguale a quello registrato nel 1987 dai Paesi dell'allora Comunità europea. (fonte)
Sul fatto che nel nostro paese siamo indietro di 2 decenni su tutto, non è una novità.
Auguro quindi a tutte le donne un buon 8 marzo nella speranza che, assieme al riposo e al divertimento, sai un punto di partenza per riflettere sulla vostra condizione al fine di cambiarla e renderla uguale a quella di noi uomini.
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