venerdì 25 febbraio 2011

Democrazia e libertà esportate con le idee e non con le armi







Le notizie delle rivolte in atto in molti paesi stanno ricoprendo giustamente le prime pagine dei giornali mondiali e dei siti/blog del settore. Mi sembra quindi doveroso spendere due parole su questi fatti.

Non riporto la cronaca perchè sarebbe inutile visto che tutti (spero) siate informati sui fatti, piuttosto faccio brevemente una riflessione sul modo in cui queste rivolte sono avvenute.

Tutti abbiamo in mente Afghanistan ed Iraq in cui i rispettivi regimi sono stati spodestati grazie all'intervento degli americani: se per il primo la situazione è cambiata, nel secondo caso credo proprio che si possa dire di avere un saldo molto negativo, ma di questo parleremo in altra sede.

In queste rivolte invece, i protagonisti sono civili, soprattutto i giovani che grazie alla tecnologia si sono uniti per combattere i vari regimi.

Oltre a questo però, sicuramente il contatto con le civiltà più libere e democratiche e anche l'educazione ricevuta da esse è stato il fattore determinante per far scattare le rivolte: popoli stanchi della non libertà dittatoriale (alla faccia dei complottisti anti America ed occidente) che scendono in piazzia per esprimere le loro idee.


Curioso il fatto che giusto qualche giorno fa avevo pubblicato un articolo riportando il mio appoggio ad un post di Mankiw proprio a riguardo l'utilità di dialogare con i paesi in via di sviluppo anche per istruirli con idee di democrazia e libertà.

Vi lascio con uan domanda: può la liberazione dell'Iraq, o meglio, la caduta del dittatore Saddam Hussein, avere contribuito a far nascere l'idea di una rivolta contro i dittatori (avente come immagine simbolo, la statua di Saddam che viene buttata giù dagli iracheni), un "Yes, We Can", nei cittadini ribelli? Io dico di sì, almeno in parte (più o meno grossa), e voi?


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