giovedì 17 marzo 2011

Risposta a: Centocinquant'anni di Unità d'Italia. La trappola di credere che non siamo una nazione





Di Kulz Langbard

Articolo bruttino e con qualche pregiudizio qua e là.
Vogliamo parlare davvero di "unità" d'Italia? Io butto lì qualche spunto:


1) se andiamo a fare confronti con gli Stati Uniti facciamoli con intelligenza. "Negli Stati Uniti l'altra faccia dell'impianto federale è un patriottismo talmente vigoroso che talvolta è sfociato nel nazionalismo." In realtà, la storia degli USA è ben più travagliata. Divisioni che hanno portato alla secessione, apartheid, razzismi, violenze, separazioni e chi più ne ha più ne metta.
Il "patriottismo" di cui parla l'autore dell'articolo, per chi ha una prospettiva degli usa più particolareggiata, non è un banale senso di appartenenza a uno stato. È qualcosa di più. Cosa?
Basta andare in Usa per comprendere che la bandierina a stelle e strisce appesa fuori dal balcone non è solo "amor di patria", ma l'amore per una mentalità frutto di secoli di storia travagliata, ottenuta con l'anima e il desiderio davvero comune non tanto di "fare uno stato", ma di "fare un pensiero". Di avere tutti la "land of the free and home of the brave". È un sentimento comune, rappresentato da una bandiera. È per questo motivo che la diffusione mondiale di questo pensiero si nota così facilmente e viene scambiata per imperialismo. In realtà, sotto sotto, (quasi) tutti desideriamo questa libertà mentale.
Possiamo parlare in Italia di una mentalità "italiana" al di là delle divisioni regionali e dell'immigrazione? Secondo me si. Siamo la patria della cultura e della passione "artigianale". Perché non facciamo meno giorni "dell'unità d'Italia" e spendiamo i soldi usati per queste cose per la nostra ricerca, in tutti i settori, per la nostra cultura, per la nostra piccola impresa? Che non vuol dire solo conservazione del passato: questa mentalità scorre veramente come un soffio di vento attraverso ogni via di ogni paese di tutto la nazione.
Stiamo guardando la cosa dalla prospettiva sbagliata: siamo ancora qui a pensare di dover "fare l'Italia", quando la mentalità che ci sta dietro sarebbe anche "già fatta" (nonostante tutte le piccole e grandi differenze).

2) I leghismi. Chi mi viene a parlare di federalismo non sa cosa vuole dire. Il Federalismo non viene "dopo" la creazione di uno stato sovrano, viene concettualmente e legalmente "prima". Se viene dopo si chiama "secessione". Non mi raccontino storie, non mi fregano. E i giornali continuano a usare questa parola, completamente sbagliata.
L'articolista dimentica una cosa, criticando la Lega. L'italia "è" una costruzione artificiosa. TUTTE le nazioni sono costruzioni artificiose. I confini sono cose artificiali: intorno ai bordi delle nazioni tutti parlano due lingue. Le separazioni sono frutto di vicende storiche, guerre, giochi "di palazzo", ma finché continuiamo a pensare che il confine è simbolo di separazione e non "zona di unione" tra due paesi, siamo fermi. Non capiremo la globalizzazione, non capiremo la comunicazione con il resto del mondo, non saremo in grado di difendere proprio un bel niente della nostra produzione e rischieremo pure di perderci un sacco di soldi.
E la lega crede (o meglio, fa credere di credere) che sia possibile creare pure altri confini separatori all'interno del nostro paese.
Non hanno capito nulla. Meno confini e più unione. Non solo tra di noi. Ma di nuovo, stiamo guardando la cosa dalla prospettiva sbagliata.

3) "Oggi rispondere agli interrogativi del 17 marzo significa uscire dalla gabbia di questo eterno presente grigio e pervasivo". Così dice l'articolista, ma domani, credetemi, sarà di nuovo tutto come prima. Non sarà cambiato assolutamente nulla. Non avremo creato mentalità italiana, ci saranno le solite voci pseudo-"federaliste", la crisi incomberà sempre e comunque, le pmi non verranno stimolate come dovrebbero, non verrà innovata la cultura d'impresa del nostro paese, non verrà stimolata la creazione di nuova cultura, non verrà studiato un processo di integrazione "mentale" dell'immigrato (come avviene in USA, per il semplice fatto che, come ho scritto sopra, gli USA sono più una "mentalità" che "uno stato"), non si sarà fatta l'Italia e non si farà.
L'eterno presente grigio continuerà, e gli sforzi di quei pochi che nel territorio cercano innovazione, che nei giovani vedono menti e mentalità, che nell'"esterofilia" dilagante vedono ispirazione, non delusione per il nostro paese, che sono via ma vorrebbero tornare...tutti quegli sforzi, purtroppo, rischieranno di essere delusi. Non si fa l'Italia in un giorno di festa, si fa vivendo la propria identità.


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