Articolo apparso su MySolutionPost in data 06/10/2014 con titolo "L'articolo 18: l'ultimo dei problemi per imprese e lavoratori"
Il dibattito politico italiano vive sempre di più di “mode”: ogni
mese/due mesi i politici italiani tirano fuori dal cilindro un tema sul
quale dibattere, spesse volte legato ad una particolare ideologia,
concentrando in questo modo tutta l'opinione pubblica su di esso,
dimenticandosi del resto.
Argomento del momento è l'articolo 18: da un lato abbiamo chi, come Renzi, lo vorrebbe cambiare o addirittura eliminare per rilanciare l'occupazione e la crescita; dall'altro chi, come una parte della sinistra e i sindacati, invece lo ritiene un simbolo della lotta proletaria al limite della sacralità assolutamente da non toccare.
Ma davvero la modifica dell'articolo 18 oggi è la condicio sine qua non l'occupazione non possa ripartire, le imprese non ricomincino ad investire e di conseguenza il Paese non torni a crescere?
Mettendo da parte le ideologie, il 18 è vero che rappresenta un problema
per gli imprenditori attuali e quelli potenziali, in quanto nel caso di
un licenziamento non solo non permette loro di avere costi certi
(quindi programmabili) fra rimborsi al lavoratore e spese
legali/processuali, ma addirittura non garantisce nemmeno
l'allontanamento del dipendente. In praticamente nessun altro Paese Occidentale vige una così grande incertezza sulle spalle del datore di lavoro e ciò di sicuro rappresenta un limite (se proprio non vogliamo chiamarlo problema).
Anche (ma non solo, sia chiaro) per questo motivo le imprese medio/grandi sono riluttanti ad assumere a tempo indeterminato. Ma
non è la principale causa che limiti le assunzioni delle imprese o
impedisca agli investitori di aprire un'attività in Italia o ampliare
quelle già estistenti.
I due primissimi responsabili che oggi limitano gli investimenti e le
assunzioni in Italia sono l'eccessiva burocrazia e una tassazione fuori
dal mondo sia dei profitti, sia dei lavoratori. Il costo del lavoratore
nel nostro Paese è fra i più elevati nel Mondo e la causa di ciò (ma
non credo ci sia bisogno di dirlo) non sono gli stipendi troppo alti, ma
il loro costo gravato proprio dalle tasse su di esso!
È dunque il costo del lavoro il problema da risolvere oggi! In
una situazione in cui la disoccupazione è a livelli mai visti (ergo si è
in presenza di un eccesso di offerta di lavoro) e la produttività è
stagnante, è ovvio che i salari tendano a diminuire per cercare
l'equilibrio. Se non diminuirà la tassazione sul lavoro, il rischio inevitabile è che saranno gli stipendi stessi a diminuire.
Considerando il loro attuale livello e i consumi sempre più in crisi, la spirale potrebbe essere ancora più negativa.
Senza una riduzione sostanziale (leggasi: non i fantomatici 80€ in
più in busta paga solo alcune fasce di reddito) di questo costo non si
può sperare in una ripresa dell'occupazione.
A ciò, come detto in precedenza, bisogna affiancare una sburocratizzazione decisa riducendo tempi e costi per chi avesse idee e volesse investire,
in modo da creare ex novo posti di lavoro e una riduzione generale
della tassazione sull'attività imprenditoriale (profitti in primis),
così da incentivare più persone a rischiare il proprio capitale in un
investimento sul territorio italiano.
Fatto ciò, ma solo dopo, allora si può iniziare a discutere sul tema
articolo 18 e da lì partire a riformare non solo il mercato del lavoro,
ma anche degli ammortizzatori sociali (altro tema scottante). Prima è
solo uno specchietto per le allodole, una distrazione per evitare di
parlare dei problemi veri di questo Paese. Gli interventi da fare, ed
urgentemente, sono ben altri.
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1 commento:
Verissimo che l'Art. 18 non è il maggiore dei problemi, ciò non toglie che resti tale.
Poi, sarò romantico quanto i pensionati che vanno in piazza con la CGIL e credono davvero in quel che dicono (ma all'opposto, ovviamente), ma nonostante esistano problemi più gravi l'Art. 18 a mio avviso andrebbe comunque abolito solo e unicamente perché è ingiusto, perché non vedo sinceramente il motivo di impedire a un imprenditore di licenziare qualcuno che non gli va a genio: sarà pur libero di lavorare con chi gli pare? E se è tanto fesso da licenziare qualcuno di competente e già formato solo perché non segue gli ordini come un automa saran fatti suoi che avrà perso un ottimo elemento nella sua impresa?
E' una questione di giustizia e di equità di trattamento: il lavoro dipendente non è diverso per onestà e per dignità a quello del professionista e a quello dell'imprenditore, cambia solo il livello di rischio e i "clienti" a cui vendere le proprie competenze e il proprio impegno, perché mai dovrebbe essere maggiormente tutelato?
Poi, oh, basta un po' di sale in zucca e si evita di farsi piacere un politico solo perché ogni tanto dice qualcosa di sensato, sia nel caso ci creda davvero sia che lo faccia solo per raccimolare qualche voto.
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