mercoledì 11 novembre 2009

Immunità sì, impunità no


Tiene banco in questi giorni la questione dell'immunità parlamentare che è stata proposta.
L'immunità parlamentare è citata nella Costituzione all'articolo 68 che recita:

I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.

Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.

E' stata poi revocata nel 1993 in seguito allo scandalo di Tangentopoli.

Sinceramente l'immunità parlamentare deve essere un diritto del parlamentare, in quanto per poter svolgere il proprio lavoro a favore dei cittadini deve poter essere libero di parlare, accusare e far politica liberamente, senza doverne poi rispondere in tribunale. Se si vuole che i parlamentari parlino, l'immunità serve, sennò che li scelgano muti, almeno così sicuramente non parlano.

Quindi sì all'immunità, ma entro certi limiti: questa immunità non deve diventare "impunità".
Il parlamentare deve essere immune mentre svolge il proprio lavoro di parlamentare e basta! Non è che se esce di sera con la famiglia, e prende una multa, egli può invocare la sua immunità! Bisogna porre dei limiti ben chiari e netti e allora, solamente a queste condizioni, l'immunità potrà essere adottata. Distinguere il privato cittadino dal pubblico parlamentare.


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